Ieri (16 novembre) è stata una giornata davvero difficile, sia per le tre famiglie minacciate dalla esecuzione dello sfratto, sia per i volontari delle Associazioni che volevano scongiurare questo esito. I fatti si sono svolti in piazza Cattedrale e in via Nevizzano, all'indirizzo delle abitazioni delle famiglie, dove erano organizzati due presidi antisfratto, e nel cortile di palazzo Ottolenghi dove, in fine mattinata, volontari e famiglie hanno avuto l'ennesimo, ruvidissimo, confronto con l'assessore ai Servizi Sociali.
In piazza Cattedrale, con l'arrivo dell'ufficiale giudiziario, del proprietario e del suo avvocato, la tensione si è fatta subito altissima. Il proprietario ha fatto intendere che non avrebbe più concesso un rinvio, che avrebbe respinto qualunque offerta in denaro dell'Assessorato. Voleva il suo alloggio subito e sgomberato di cose e persone. E' seguito uno scambio di giudizi morali pesantissimi, sotto accusa ovviamente la famiglia, ovviamente l'inquilino, in questo caso moroso, costretto da umanissime necessità di sopravvivenza, a venir meno a parte dei suoi obblighi.
Ma all'osso delle questioni, anche in questo caso, quando i comprimari, avvocati, ufficiali giudiziari e sbirri, prendono la parola, il diritto che viene affermato, al di sopra di ogni altro, è il diritto di proprietà, di questi tempi una sorta di mostro sacro. Così, all'annuncio che sarebbero stati chiamati i carabinieri per eseguire lo sgombero forzato dell'alloggio, molti dalla parte della famiglia si sono presi paura, le chiavi dell'alloggio sono state consegnate e sei persone, tra cui due minori e un adulto sofferente di Alzheimer, si sono disperse nei domicili di parenti ed amici.
In via Nevizzano le cose sono andate diversamente. Il confronto, abbastanza civile, si è svolto con gli avvocati della proprietà, l'amministratore e l'ufficiale giudiziario. Anche l'ispettore di polizia, presente con alcuni agenti, non è rimasto congelato nel suo ruolo, ha mostrato interesse vero per quello che accadeva e ha favorito il dialogo. La tensione ovviamente non è subito venuta meno, i volontari erano presenti abbastanza numerosi e intenzionati a contrastare lo sfratto. All'ingresso dell'edificio era stato appeso un vistosissimo striscione. La scritta, in piemontese, avvertiva l'assessore Verrua: “signor assessore, non ci muoveremo di qui”. Gli inquilini non potevano certo vivere con indifferenza l'attesa dell'esito di questo confronto. I tre bambini di una delle due famiglie erano stati accompagnati a scuola e potevano essere privati di un ritorno a casa. I due bambini dell'altra famiglia stavano asserragliati con la madre nell'alloggio e ceratamene intuivano il peggio che poteva accadere.
Il confronto con il proprietario e con l'assessore, che metteva a disposizione 300 euro a famiglia per un rinvio, è avvenuto per telefono e per la durata di circa un'ora. La minaccia delle sgombero arrivava in forma virtuale, ancora più inquietante di quella che poteva essere annunciata da una persona in carne ed ossa. Ma chi fosse il proprietario è stata la domanda che si sono fatti in molti. Si è saputo e che è il proprietario dell'intero stabile, sedici alloggi di cui sei attualmente vuoti, ha intenzione di valorizzare la sua proprietà sul mercato delle locazioni dei ceti medio alti della città. Con una ristrutturazione e una manutenzione straordinaria quell'edificio anni 60, così prossimo al centro della città, può essere iscritto nel borsino immobiliare con una rendita molto più alta di quella attuale. Alla fine il rinvio è stato concesso (11 gennaio) ma gli inquilini hanno dovuto sottoscrivere la rinuncia al loro diritto all'abitare, l'impegno ad andarsene entro quella data.
Nel cortile di palazzo Ottolenghi l'assessore doveva innanzi tutto rispondere delle promesse fatte dal sindaco nel corso della famosa assemblea pubblica del 4, vale a dire in che data si sarebbe tenuta l'annunciata riunione del “tavolo di lavoro” e con quale agenda. Per il tavolo è venuta finalmente la conferma, giovedì 19 dicembre alle 10. Per l'agenda l'assessore non ha rinunciato a riproporre per l'ennesima volta, persino con calore, tutti i giudizi, le intenzioni e i fatti che per quattro mesi, dacché il movimento ha ripreso a far sentire pubblicamente la sua voce, hanno impedito qualsiasi dialogo, anzi, hanno inasprito il dissenso e il conflitto con le associazioni.
Le regole come strumento sanzionatorio, la cancellazione del diritto alla casa per le famiglie che hanno occupato, la scissione delle famiglie come soluzione all'emergenza abitativa, i biglietti pagati per il viaggio di ritorno delle famiglie dei migranti e così via. I volontari delle Associazioni gli hanno subito chiarito che con quelle premesse non si sarebbe aperto nessun “tavolo di lavoro”. Molto più ruvida è stata la reazione delle famiglie presenti, quelle già sfrattate o sgombrate e quelle a cui è stato concesso un rinvio. Alla fine, con il contributo di una funzionaria dell'assessorato, l'assessore è riuscito finalmente a mettere da parte le sue granitiche certezze (è una persona incapace di convivere con il dubbio) e ad accettare che i primi step dell'agenda del “tavolo di lavoro” fossero due: un esame di tutte le emergenze abitative, sfratti esecutivi già annunciati, sfratti e sgomberi già eseguiti, di famiglie in condizioni di riconosciuta debolezza sociale; un esame o riepilogo di tutti gli alloggi di erp, enti pubblici e banche utilizzabili in tempi brevissimi per dare una risposta concreta alle famiglie prima censite.
Asti 16 novembre 2009
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