giovedì 7 febbraio 2008

I PROBLEMI DELL'ABITARE

PREMESSA
L'allarme è stato lanciato da più parti, tutte autorevoli; Federcasa, Anci, partiti politici, associazioni sindacali e di promozione sociale, ed ora è stato rilanciato con rigore statistico dal Censis (*) : soprattutto nelle grandi città metropolitane, ma in genere, con le stesse caratteristiche, in tutte le città ad alta tensione abitativa, il problema della casa è stato messo in agenda come un gravissimo problema sociale.
Ciò che si osserva è l'impossibilità per centinaia di persone/famiglie di accedere ad un alloggio privato, o rimanervi, pagando un canone di locazione. Al tempo stesso la disponibilità di alloggi a canone sociale (case popolari) risulta infinitamente al di sotto delle necessità mentre si moltiplicano gli alloggi privati sfitti, frutto di un attività immobiliare speculativa sempre assai sostenuta.
Ma non è sufficiente gridare l'allarme, per passare dalle parole ai fatti, cominciando a garantire una casa a tutte le persone/famiglie minacciate di sfratto, è necessario risalire alle cause del problema e prevedere interventi straordinari, radicalmente diversi da quelli realizzati da qualche decennio a questa parte.
Bisogna allora ricordare che l'attuale situazione, sia per quanto riguarda il regime dei suoli, sia per quanto riguarda le politiche abitative, è il risultato di provvedimenti (e relativa legislazione) presi prevalentemente in sede nazionale, nel corso di un ventennio almeno, da governi di diverso colore politico.
Pochi tra gli addetti ai lavori (http://www.eddyburg.it/) hanno opposto le ragioni e i diritti dei cittadini e l'idea che il territorio è una risorsa scarsa, un bene comune che deve essere tutelato; non è stato fatto nemmeno quell'esame critico e pubblico che avrebbe almeno favorito un diverso orientamento di opinione. Cosicché il silenzio e le circostanze hanno fatto si che si affermassero indirizzi generali che dopo decenni mostrano tutta la loro natura regressiva e antipopolare, vale a dire:
1.il bisogno abitativo è stato consegnato al mercato
2.i Prg sono stati resi meno conformativi e più permeabili alle dinamiche di mercato.
E' necessario mutare radicalmente questi indirizzi.

REGIME DEI SUOLI
Per quanto riguarda il regime dei suoli, bisogna rifiutare la lezione di realismo politico che trae dalla situazione data la necessità di una “contrattazione” quasi alla pari tra l'ente pubblico e i proprietari di aree, i costruttori e le corporazioni professionali.
Il prezzo altissimo delle aree libere, la mancanza di soldi per rinnovare i vincoli sulle aree a standard, l'utilizzo di una parte degli oneri di urbanizzazione per finanziare il bilancio corrente, non giustificano una “discrezionalità” dell'ente pubblico sempre più applicata “a valle” dei progetti urbanistici, e un uso delle tecniche della perequazione e dei premi volumetrici che fa solo crescere, a favore della rendita fondiaria, la capacità insediativa del PRG, insomma bisogna smetterla con questa pioggia di metri cubi di nuove costruzioni.
La variante 14 appena approvata, formalmente definita “parziale” e dunque senza variazioni significative della capacità insediativa del PRG, incontra una realtà urbana in cui, come già detto, l'attività immobiliare speculativa risulta assai sostenuta. Se ne deduce che l'attuale capacità insediativa è assolutamente sovra determinata oppure è un parametro usato con troppa disinvoltura.
La risposta inquietante a questi dubbi è l'annuncio di una prossima variante “strutturale”, cioè di una nuova cavalcata vittoriosa dei percettori di rendita fondiaria, vale a dire, altro consumo di territorio (considerato evidentemente una risorsa inesauribile) e la conferma di una capacità insediativa del Prg senza alcun rapporto con l'effettivo bisogno abitativo della popolazione.
In un convegno recente promosso ad Asti dalla sezione piemontese dell'INU (presidente Fassone) per discutere “in dottrina” questi indirizzi, non si sono mai usati i concetti di capacità insediativa del Prg oppure di territorio come risorsa limitata; non è un caso. Del resto basta osservare cosa è accaduto con l'insediamento del Borgo per avere una idea precisa dei problemi della città “moderna”: colate di cemento, consumo di territorio, traffico e inquinamento atmosferico; un bel concentrato di veleni e spreco di territorio di cui nessuno, nel parlamentino locale, sembra accorgersi.
Qualche riferimento europeo è utile per capire che si tratta soprattutto di un disastro nazionale. Mentre in tutte le grandi città europee le amministrazioni hanno provveduto per anni ad acquisire preventivamente dei territori, per sottrarre l'attività pianificatoria al peso economico e ai condizionamenti sociali della rendita fondiaria, in Italia si è fatto il contrario e ultimamente si è legiferata la dismissione di beni demaniali “suscettibili di gestione economica”. Ad Amsterdam l'80 % del territorio comunale è demaniale; a Stoccolma il territorio demaniale è 3 volte quello comunale urbanizzato, tanto per fare degli esempi. In Italia si è espropriato solo per i quartieri di edilizia economica e popolare, in compenso la discussione sull'indennità di esproprio è durata ininterrottamente per decenni, da una indicizzazione del valore agricolo fino ala scelta del valore di mercato delle aree da espropriare, cioè fino a che la rendita fondiaria ha avuto partita vinta. Dura da decenni la discussione, legislatura dopo legislatura, su una legge “sul regime dei suoli”, che aggiorni quella del 1942, ma non se ne ancora fatto niente (in parlamento è all'esame una recentissima proposta di legge DS Margherita).

EDILIZIA RESIDENZIALE
Per quanto riguarda l'edilizia residenziale pubblica si cerca adesso di correre ai ripari ma siamo ancora lontani da una vera e propria politica per la casa. Non dimentichiamo che è stata azzerata la gescal, togliendo così agli istituti delle case popolari (poi agenzie, con un pizzico di immobiliarismo) la principale fonte di finanziamento per le nuove costruzioni, è stato eliminato l’equo canone, cioè la proporzionalità tra redditi e canoni di locazione delle abitazioni private, c’è stata prima l’alienazione di una percentuale molto alta del patrimonio edilizio degli istituti (poi agenzie), c’è stata successivamente l’alienazione (cartolarizzazione) di tutto il patrimonio di edilizia abitativa degli enti pubblici (l’inpdap di Asti ha messo sul mercato 110 alloggi).
Tutto ciò ha concorso a rendere assai grave Il problema abitativo in città. Centinaia di persone/famiglie vivono condizioni abitative pessime, alcune volte insostenibili. La “domanda” di alloggi popolari censita dalle graduatorie è di circa 900 persone/famiglie (800 nella graduatoria atc, 40 nella graduatoria delle emergenze). E' una domanda per difetto perché i requisiti per accedere alle graduatorie sono molto selettivi e oscurano una parte non irrilevante del disagio abitativo, soprattutto quello dei migranti extracomunitari.
“L’offerta” di alloggi popolari è al momento composta dagli alloggi che gli assegnatari liberano per ragioni varie (superamento del limite di assegnazione, morte o trasferimento altrove) e si manterrà così fino a maggio del 2008, quando l’atc consegnerà al Comune 18 alloggi di 50 mq l’uno. Questa penuria è confermata dagli alloggi assegnati nel 2006: 35 alloggi, una goccia nel mare.
Le ragioni economiche, prima ancora che sociali (coabitazione, sovraffollamento, problemi di relazione), che inducono persone/famiglie ad affollare le graduatorie sono le stesse che impediscono a queste persone/famiglie di accedere ai canoni di locazione di uno degli oltre mille alloggi privati sfitti presenti in città: redditi precari e bassi, disoccupazione. Sono le stesse ragioni che rendono difficili le relazioni tra inquilini e proprietari; per molti è diventato difficile pagare i canoni convenuti e inesorabilmente scattano le procedure di sfratto. Così molte persone e famiglie dopo aver affollato inutilmente le graduatorie per l'assegnazione di una casa popolare, spariscono nel silenzio e fuori da uno sguardo pubblico, nel mare del malessere sociale cittadino.
Non hanno certo migliorato la situazione le numerose procedure di sfratto e di sgombero avviate dal Comune e dall'ATC in questi ultimi mesi nei confronti di decine di persone e famiglie, domiciliate in alloggi di edilizia residenziale pubblica, occupanti “senza titolo” e morosi di almeno sei mensilità di affitto. Questi provvedimenti sono stati avviati con una sommaria e discutibilissima distinzione tra atteggiamenti fraudolenti, che pure ci sono, e difficoltà reali, di reddito, di relazione ed altro.
L'allarme sociale lanciato tempo fa dall'Anci ed ora ripreso con rigore statistico dal Censis ha indotto gli enti pubblici di ogni grado ad intervenire con misure di contrasto e di prevenzione che fanno sentire i primi ma assolutamente insufficienti effetti.
Il “piano casa” della regione Piemonte, che attribuisce alla provincia di Asti 300 alloggi popolari in 6 anni, renderà disponibili i primi alloggi nel 2009, inoltre non essendo dotato di un flusso di finanziamenti certo e costante è esposto alle incertezze della finanza pubblica e degli schieramenti politici.
Il fondo a sostegno di nuove locazioni, per inquilini sfrattati, avviato recentemente dal Comune non garantisce da solo il passaggio “da casa a casa” e “l'agenzia per le locazioni”, che dovrebbe assicurare al Comune una sistematica esplorazione delle possibilità di locare alloggi privati, è stata solo annunciata.
Anche il disegno di legge, recentemente approvato (interventi per la riduzione del disagio abitativo per particolari categorie sociali) - richiama la responsabilità degli enti, delle Agenzie territoriali per la Casa e degli stessi Prefetti per l'istituzione di “commissioni...per graduare le azioni di rilascio... per favorire il passaggio da casa a casa” - non ha avuto da noi alcun esito.
Per far fronte a questa situazione e per risparmiare alle famiglie l'esperienza drammatica di uno sfratto, chiediamo:
Per contrastare l'emergenza:

1)la requisizione degli alloggi sfitti di proprietà delle immobiliari, oppure la disponibilità per un tempo definito di questi alloggi concordata tra enti e immobiliari;
2)un più efficace intervento a sostegno degli affitti, in particolare con modalità che permettano di interrompere o prevenire le procedure di sfratto e garantire il passaggio da casa a casa;
3)il rispetto, senza se e senza ma, del diritto ad abitare delle donne sole con minori in emergenza abitativa;
4)una maggiore trasparenza di tutte le procedure amministrative attivate per far fronte a questo problema in modo che i cittadini coinvolti siano responsabilizzati e sottratti al ruolo passivo di destinatari di azioni di clientelismo e filantropia.

Per l'avvio di una politica per la casa:

1)scegliere un approccio partecipativo al problema mettendo in rete enti e associazioni, sindacati degli inquilini e dei piccoli proprietari compresi;
2)fare una istruttoria sul patrimonio edilizio pubblico e privato, il numero di alloggi sfitti, il numero di alloggi fatiscenti, le caratteristiche dell'attività immobiliare dell'ultimo decennio;
3)ridefinire il “bisogno abitativo” differenziando almeno tre fasce di reddito e relativi gruppi sociali;
4)utilizzare il regime delle convenzioni per ottenere quote di edilizia residenziale pubblica.
5)sostenere tutte le iniziative, di movimento e istituzionali, che in campo nazionale sono alla difesa del diritto all'abitare .

(*) Secondo il rapporto i canoni di locazione nel periodo 1999-2006 hanno registrato un incremento medio del 107%, con punte del 112% nel centri con oltre 250mila abitanti e del 128% nelle grandi città.
In media si pagano canoni di 440 euro al mese nel settore dell'edilizia residenziale privata. Ma le variazioni sul territorio sono considerevoli. Si va da una media di 580 euro al mese nelle regioni del Centro ai 376 euro del Sud, mentre nel Nord-Est si registra un canone medio di 454 euro contro i 426 del Nord-Ovest. Se si passa alle città, le cifre salgono subito a 600 euro mensili per i centri con più di 250mila abitanti, il 53% in più dei valori registrati nei piccoli centri.
L'indagine prende in considerazione anche i costi complessivi dell'abitare in affitto. Il valore medio per il pagamento di acqua, gas, luce e riscaldamento è di 175 euro al mese, senza variazioni di rilievo a livello territoriale. Tenendo conto anche del pagamento per le utenze, la spesa complessiva legata alla casa incide per la fascia più bassa (10mila euro annui) nella misura del 62% del reddito nelle città sotto i 250mila abitanti e dell'86% nelle grandi città.

ASTI 27/04/07

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