Con il declassamento da interlocutori a “presenze indesiderate”, dei volontari delle associazioni e delle famiglie presenti alla assemblea autoconvocata in Comune il primo dicembre, si è chiusa una fase del movimento di lotta per la casa e, insieme, è venuta a mancare ogni possibilità di confronto con l' assessore ai servizi sociali Piefranco Verrua.
E' stato il sindaco a dichiarare formalmente questa chiusura, consegnando il Comune alla “forza pubblica”, esattamente come fa il padrone di casa che vuole liberarsi dei suoi inquilini insolventi. Anche la semplice cortesia avrebbe potuto suggerigli un comportamento più confacente alle sue prerogative di sindaco di tutti i cittadini. Ha scelto di fare il sindaco dei cittadini più ricchi, più cinici ed opportunisti.
Ha preferito considerare l'assemblea autoconvocata come un gesto violento, seguito in questo suo immaginario dai consiglieri lì presenti, uno dei quali ha tentato di strappare uno striscione delle associazioni mentre altri indirizzavano invettive e improperi all'indirizzo dei volontari e delle famiglie.
Anche l'assenza dei consiglieri dell'opposizione politica ha fatto la differenza. Non uno ha pensato ad un gesto di solidarietà. Sarebbe bastato che qualcuno di loro si sedesse al tavolo delle associazioni per rendere meno surreale la situazione. Tutti insieme evidentemente, consiglieri di maggioranza e di opposizione, condividono l'ipocrisia e l'irresponsabilità di considerare gli sfratti e gli sgomberi delle famiglie, la violazione dei diritti fondamentali della persona (per usare le parole della Corte Costituzionale), non una violenza ma un fatto necessario o di normale amministrazione.
Sono stati così indirettamente confermati il liberismo e il razzismo dell'assessore ai servizi sociali. Proprio questi orientamenti di cultura politica, più ancora che la limitatezza delle risorse, ispirano interventi di nulla o modesta efficacia (L'Agenzia per la Casa) o interventi che accrescono il danno sociale anziché ridurlo (quelli sanzionatori delle morosità oppure quelli che minano la coesione delle famiglie come le ospitalità dimezzate nella rete dei dormitori e dei centri di accoglienza).
Le associazioni e le famiglie in emergenza abitativa non si sono limitate a “protestare” senza criterio. Durante quattro mesi, ogni volta che hanno preso pubblicamente la voce, hanno offerto analisi e proposte su ogni aspetto del complesso problema. Come gestire l'emergenza e come affrontarne le cause, in una situazione di grave crisi sociale; come far parlare un elementare sentimento di giustizia in una comunità cittadina attraversata da gravissime disuguaglianze.
Tutti aspetti del problema che le associazioni e le famiglie hanno frequentato nei loro discorsi pubblici e privati, nel disperato tentativo (dopo quel che è successo l'altra sera, si può usare questo attributo) di trovare dalla parte degli enti pubblici degli interlocutori responsabili e coscienti della gravità della situazione e dunque della necessità di agire anche provvedimenti inusuali (requisizione compresa).
Se si tolgono i rappresentanti della Questura e della Prefettura, che hanno mostrato in ogni occasione volontà di dialogo ed hanno sollecitato in ogni occasione un atteggiamento dialogante degli enti, da parte degli interlocutori pubblici è venuta spesso una azione delegittimante, il rifiuto di riconoscere le associazioni e le famiglie come interlocutori, in parole povere “il manovratore non ha mai voluto essere disturbato”.
Le associazioni e le famiglie non hanno incontrato ostacoli solo nella volontà degli amministratori pubblici di negarsi ad un confronto nel merito dei problemi. Le stesse modalità del confronto richiesto hanno infastidito, soprattutto perchè non conformi ai normali e tranquillizzanti schemi della democrazia delegata alle consorterie della politica e degli affari. Persino il numero degli interlocutori è stato messo in discussione. Due si possono manipolare, cinque sono già un pericolo, una assemblea viene vissuta come un pericoloso assembramento. Dunque c'è stato e c'è un limite nella più generale temperie culturale, nella coscienza di se e delle situazioni che hanno gli stessi cittadini presso cui negli ultimi anni si è diffuso un gravissimo malessere sociale.
Le associazioni e le famiglie, oltre che insistere nelle azioni di contrasto degli sfratti e in tutte le azioni che servono per testimoniare pubblicamente le ingiustizie che vengono ormai quotidianamente consumate, oltre che sviluppare il confronto aperto su altri tavoli per definire progetti di uso sociale di alcuni manufatti dismessi dagli enti, accentueranno il loro impegno pubblico per contrastare la cultura e il senso comune dominanti. L'idea di “occupare” con azioni disubbidienti gli alloggi liberi di immobiliari, banche e assicurazioni sarà accompagnata da inchieste su quanti e dove e di quale proprietà. Le richieste che le associazioni e le famiglie hanno distillato dal loro dibattito in questi quattro mesi saranno sistematizzate meglio e offerte a interlocutori più ricettivi dell'assessore e del sindaco. Tutte le forme di comunicazione che possono fare opinione pubblica saranno frequentate.
Asti 10 Dicembre 2009
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