lunedì 9 maggio 2011

In punta di diritto


TRIBUNALE DI ASTI
Il Tribunale di Asti, in persona del dott. Perfetti,
nel procedimento possessorio n.1073/011 RG, pendente tra
Ministero della Difesa, difeso dall'Avvocatura dello Stato; RICORRENTE,
Poliante Roberto+altri, tutti difesi dall'avv. Roberto Caranzano; RESISTENTI,
OSSERVATO E RILEVATO CHE
Parte ricorrente – agendo in riassunzione, a seguito della declaratoria di incompetenza adottata dal Tribunale di Torino – lamenta che, nella giornata del 6 aprile 2010, i resistenti ebbero ad introdursi illegittimamente in immobile sito in Asti, alla via Allende – adibito al soddisfacimento delle esigenze di servizio del personale militare, sebbene al momento del fatto sgombero di persone, in virtù di lavori di ristrutturazione in corso – ivi instaurandosi con le proprie famiglie, senza averne titolo; chiede di conseguenza disporsi la reintegrazione nel possesso del bene oggetto di usurpazione.
Si costituivano i contraddittori, con comparsa di risposta in data 21.06.2011, nella quale veniva recepita la insussistenza di una fattispecie di illecito possessorio, per avere essi agito in stato di necessità, a seguito della perdita delle rispettive abitazioni familiari – cifr all. 1 del fascicolo di parte resistente, documentazione attinente alle procedure per convalida di sfratto subite – e nella materiale impossibilità di accedere alla strutture comunali adibite alle famiglie in stato di difficoltà economica.
Chiedevano rigettarsi il ricorso.
 
Va detto innanzi tutto che, tanto i fatti materiali dell'occupazione dell'immobile, quanto la condizione abitativa dei resistenti, come descritta nella comparsa di risposta, costituiscono fatti pacifici nel presente giudizio, non essendo stati oggetto di contestazioni ex adverso. Ciò premesso, ritiene lo scrivente la sussumibilità della fattispecie all'esame sotto la sfera giuridica della discriminante di cui all'art. 54 del cp (richiamato dall'art. 2045 cc) in considerazioni delle allegazioni svolte dalla difesa di parte resistente.
Ed invero, detto istituto assume una valenza per così dire “trasversale” all'intero ordinamento, trovando applicazione ad entrambe le branche del diritto (penale e civile) quale esplicitazione di regole di condotta, le quali hanno, ancora prima che valenza normativa, un fondamento di natura pre-giuridica; palesandosi esse, già da un punto di vista logico, come di espressione di un sentire socialmente diffuso, secondo il quale, ad esempio, appare incongrua ed iniqua la punizione di colui che commetta un fatto illecito, in quanto a ciò costretto dalla necessità di contrastare una aggressione (come nella legittima difesa) ovvero di salvaguardare un bene della persona da un pericolo grave ed inevitabile (quale al ipotesi, che qui rileva, dello stato di necessità). In tal senso può affermarsi la discendenza delle cause scriminanti da quel nucleo di precetti, inerenti ad un senso di giustizia, che in passato è stato definito come “jus naturale”. La giurisprudenza maturata nel settore penalistico ha ormai abbracciato da tempo la tesi della riconducibilità all'art. 54 cp della occupazione di immobili, ove resa necessaria dall'impossibilità di accedere ad una congrua soluzione abitativa (cfr Cassazione 7183/08: Ai fini della sussistenza dell'esimente dello stato di necessità, nel concetto di “danno grave alla persona” entrano non solo le lesioni della vita e dell'integrità fisica, ma anche quelle situazioni che attentano alla sfera dei diritti fondamentali della persona, riconosciuti e garantiti dall'art.2 della Costituzione, tra le quali rientra il diritto all'abitazione, l'operatività dell'esimente presuppone, peraltro, gli ulteriori elementi costitutivi dell'assoluta necessità della condotta e dell'inevitabilità del pericolo.)
Un simile approdo costituisce d'altronde giusta valorizzazione del rilievo da attribuirsi al diritto all'abitazione (tutelato non solo in ambito nazionale, quale bene fondamentale della persona, si vedano l'art. 25 Dichiarazione Universale dei diritti dell'uomo del 1948 e l'art. 8 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo) anche in considerazione della strumentalità di esso ad altri diritti fondamentali dell'uomo – quali il diritto alla salute, alla privacy, alla sicurezza, alla famiglia.
Né può restringersi la portata di detta giurisprudenza al solo settore penalistico, in quanto le esimenti, per come più su specificato, costituiscono istituti comuni ad entrambe le branche dell'ordinamento – come reso palese dal disposto dell'art. 2045 cc.
La applicabilità al caso in esame della fattispecie enucleata dalla appena esaminata Cassazione 7183/08 risulta palese: ricorrono infatti sia al gravità del danno alla persona (superfluo insistere sulle conseguenze – a maggior ragione per quelle famiglie, aventi al loro interno prole minorenne – che inevitabilmente seguono la privazione dell'alloggio familiare e la indisponibilità di altra soluzione abitativa, e vista la concreta inoperatività, nel caso di specie degli strumenti sociali di ausilio legislativamente previsti, sub specie di edilizia popolare) che la non inevitabilità di esso mediante diversa condotta (non emergendo alcun concreto strumento di diversa risoluzione della emergenza venutasi a creare).
Resta tuttavia da valutare se la efficacia della scriminante summenzionata si estenda anche alla fattispecie oggi all'esame, ovverosia se lo stato di necessità, in cui i resistenti ebbero a trovarsi, esplichi il proprio effetto anche in materia di tutela possessoria.
Ritiene lo scrivente, a differenza di quanto sostenuto dalla difesa della parte ricorrente, che a tale quesito debba darsi risposta positiva, a ciò conducendo un principio generale di coerenza dell'ordinamento.
Ed invero, sebbene caratterizzato da elementi costitutivi affatto peculiari, lo spoglio di cui all'art. 1168 cc si configura per sempre alla stregua di un atto giuridico illecito, vale a dire una manifestazione della volontà umana, produttiva di conseguenze che l'ordinamento sottopone a censura.
In quanto tale esso di fonda non già sul solo dato materiale della privazione della res, bensì anche su un fattore soggettivo – ciò che in diritto penale si definisce elemento psicologico dell'illecito – vale a dire l'animus spoliandi, sia pure inteso in giurisprudenza in modo assai ampio, come coscienza e volontà di compiere l'atto materiale in cui si concretizza lo spoglio (cfr. Cassazione 2316/011; vedi anche Cassazione 3955/08, ove si afferma espressamente la necessità che la condotta materiale – allo stesso modo di quanto avviene sia in diritto penale, che nella fattispecie generale di illecito aquiliano – sia sorretta da dolo o colpa.
Orbene ciò premesso, costituisce principio generale, valevole per qualunque tipologia di illecito, che l'elemento soggettivo sotteso all'atto materiale sia escluso dalla esistenza di una causa scriminante.
Tanto deve dirsi anche con riferimento all'illecito possessorio di cui all'art. 1168 cc, pena la violazione di un principio generalissimo dell'ordinamento, ovvero il principio di non contraddizione, in virtù del quale, non può una stessa condotta essere allo stesso tempo valutata dal diritto come conforme o non conforme a legge, ovvero lecita – perché scriminata dallo stato di necessità – ed illecita insieme.
In altre parole, ragioni di sistematicità inducono a ritenere che la scriminante valga ad escludere la coscienza e la volontà dell'atto, anche in materia di spoglio, costituendo principio generale che il dolo ovvero la colpa – che dello spoglio sono pacificamente elementi costitutivi, per come visto, così come dell'illecito aquiliano e di quello penale – rimangono esclusi, ove ricorra stato di necessità in capo al soggetto agente.
Lo spoglio va dunque nel caso di specie escluso, per via del difetto del necessario requisito soggettivo.
Spese compensate, attese le ragioni della decisione me la particolarità delle questioni trattate.ù
PQM
Il Tribunale, sul ricorso epigrafato,
Rigetta il ricorso
Compensa le spese
Asti 9/5/2011




Art 54 cp
Non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di salvare sé od altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona, pericolo da lui non volontariamente causato, né altrimenti evitabile, sempre che il fatto sia proporzionato al pericolo.
Questa disposizione non si applica a chi ha un particolare dovere giuridico di esporsi al pericolo.
La disposizione della prima parte di questo articolo si applica anche se lo stato di necessità è determinato dall'altrui minaccia [611]; ma, in tal caso, del fatto commesso dalla persona minacciata risponde chi l'ha costretta a commetterlo.




Articolo 2045.
Quando chi ha compiuto il fatto dannoso vi è stato costretto dalla necessità di salvare se o altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona (1447), e il pericolo non è stato da lui volontariamente causato ne era altrimenti evitabile (Cod. Pen. 54), al danneggiato è dovuta un’indennità, la cui misura e rimessa all’equo apprezzamento del giudice (att. 194).




Art. 1168 Azione di reintegrazione
Chi è stato violentemente od occultamente spogliato del possesso può, entro l`anno dal
sofferto spoglio, chiedere contro l`autore di esso la reintegrazione del possesso medesimo.
L`azione è concessa altresì a chi ha la detenzione della cosa (1140), tranne il caso che l`abbiano per ragioni di servizio o di ospitalità. Se lo spoglio è clandestino, il termine per chiedere la reintegrazione decorre dal giorno della scoperta dello spoglio. La reintegrazione deve ordinarsi dal giudice sulla semplice notorietà del fatto, senza dilazione (Cod. Proc. Civ. 703 e seguenti).

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