TRIBUNALE
DI ASTI
Il
Tribunale di Asti, in persona del dott. Perfetti,
nel
procedimento possessorio n.1073/011 RG, pendente tra
Ministero
della Difesa, difeso dall'Avvocatura dello Stato; RICORRENTE,
Poliante
Roberto+altri, tutti difesi dall'avv. Roberto Caranzano; RESISTENTI,
OSSERVATO
E RILEVATO CHE
Parte
ricorrente – agendo in riassunzione, a seguito della declaratoria
di incompetenza adottata dal Tribunale di Torino – lamenta che,
nella giornata del 6 aprile 2010, i resistenti ebbero ad introdursi
illegittimamente in immobile sito in Asti, alla via Allende –
adibito al soddisfacimento delle esigenze di servizio del personale
militare, sebbene al momento del fatto sgombero di persone, in virtù
di lavori di ristrutturazione in corso – ivi instaurandosi con le
proprie famiglie, senza averne titolo; chiede di conseguenza disporsi
la reintegrazione nel possesso del bene oggetto di usurpazione.
Si
costituivano i contraddittori, con comparsa di risposta in data
21.06.2011, nella quale veniva recepita la insussistenza di una
fattispecie di illecito possessorio, per avere essi agito in stato di
necessità, a seguito della perdita delle rispettive abitazioni
familiari – cifr all. 1 del fascicolo di parte resistente,
documentazione attinente alle procedure per convalida di sfratto
subite – e nella materiale impossibilità di accedere alla
strutture comunali adibite alle famiglie in stato di difficoltà
economica.
Chiedevano
rigettarsi il ricorso.
Va
detto innanzi tutto che, tanto i fatti materiali dell'occupazione
dell'immobile, quanto la condizione abitativa dei resistenti, come
descritta nella comparsa di risposta, costituiscono fatti pacifici
nel presente giudizio, non essendo stati oggetto di contestazioni ex
adverso. Ciò premesso, ritiene lo scrivente la sussumibilità della
fattispecie all'esame sotto la sfera giuridica della discriminante di
cui all'art. 54 del cp (richiamato dall'art. 2045 cc) in
considerazioni delle allegazioni svolte dalla difesa di parte
resistente.
Ed
invero, detto istituto assume una valenza per così dire
“trasversale” all'intero ordinamento, trovando applicazione ad
entrambe le branche del diritto (penale e civile) quale
esplicitazione di regole di condotta, le quali hanno, ancora prima
che valenza normativa, un fondamento di natura pre-giuridica;
palesandosi esse, già da un punto di vista logico, come di
espressione di un sentire socialmente diffuso, secondo il quale, ad
esempio, appare incongrua ed iniqua la punizione di colui che
commetta un fatto illecito, in quanto a ciò costretto dalla
necessità di contrastare una aggressione (come nella legittima
difesa) ovvero di salvaguardare un bene della persona da un pericolo
grave ed inevitabile (quale al ipotesi, che qui rileva, dello stato
di necessità). In tal senso può affermarsi la discendenza delle
cause scriminanti da quel nucleo di precetti, inerenti ad un senso di
giustizia, che in passato è stato definito come “jus naturale”.
La giurisprudenza maturata nel settore penalistico ha ormai
abbracciato da tempo la tesi della riconducibilità all'art. 54 cp
della occupazione di immobili, ove resa necessaria dall'impossibilità
di accedere ad una congrua soluzione abitativa (cfr Cassazione
7183/08: Ai fini della sussistenza dell'esimente dello stato di
necessità, nel concetto di “danno grave alla persona” entrano
non solo le lesioni della vita e dell'integrità fisica, ma anche
quelle situazioni che attentano alla sfera dei diritti fondamentali
della persona, riconosciuti e garantiti dall'art.2 della
Costituzione, tra le quali rientra il diritto all'abitazione,
l'operatività dell'esimente presuppone, peraltro, gli ulteriori
elementi costitutivi dell'assoluta necessità della condotta e
dell'inevitabilità del pericolo.)
Un
simile approdo costituisce d'altronde giusta valorizzazione del
rilievo da attribuirsi al diritto all'abitazione (tutelato non solo
in ambito nazionale, quale bene fondamentale della persona, si vedano
l'art. 25 Dichiarazione Universale dei diritti dell'uomo del 1948 e
l'art. 8 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti
dell'uomo) anche in considerazione della strumentalità di esso ad
altri diritti fondamentali dell'uomo – quali il diritto alla
salute, alla privacy, alla sicurezza, alla famiglia.
Né
può restringersi la portata di detta giurisprudenza al solo settore
penalistico, in quanto le esimenti, per come più su specificato,
costituiscono istituti comuni ad entrambe le branche dell'ordinamento
– come reso palese dal disposto dell'art. 2045 cc.
La
applicabilità al caso in esame della fattispecie enucleata dalla
appena esaminata Cassazione 7183/08 risulta palese: ricorrono infatti
sia al gravità del danno alla persona (superfluo insistere sulle
conseguenze – a maggior ragione per quelle famiglie, aventi al loro
interno prole minorenne – che inevitabilmente seguono la privazione
dell'alloggio familiare e la indisponibilità di altra soluzione
abitativa, e vista la concreta inoperatività, nel caso di specie
degli strumenti sociali di ausilio legislativamente previsti, sub
specie di edilizia popolare) che la non inevitabilità di esso
mediante diversa condotta (non emergendo alcun concreto strumento di
diversa risoluzione della emergenza venutasi a creare).
Resta
tuttavia da valutare se la efficacia della scriminante summenzionata
si estenda anche alla fattispecie oggi all'esame, ovverosia se lo
stato di necessità, in cui i resistenti ebbero a trovarsi, esplichi
il proprio effetto anche in materia di tutela possessoria.
Ritiene
lo scrivente, a differenza di quanto sostenuto dalla difesa della
parte ricorrente, che a tale quesito debba darsi risposta positiva, a
ciò conducendo un principio generale di coerenza dell'ordinamento.
Ed
invero, sebbene caratterizzato da elementi costitutivi affatto
peculiari, lo spoglio di cui all'art. 1168 cc si configura per sempre
alla stregua di un atto giuridico illecito, vale a dire una
manifestazione della volontà umana, produttiva di conseguenze che
l'ordinamento sottopone a censura.
In
quanto tale esso di fonda non già sul solo dato materiale della
privazione della res, bensì anche su un fattore soggettivo – ciò
che in diritto penale si definisce elemento psicologico dell'illecito
– vale a dire l'animus spoliandi, sia pure inteso in giurisprudenza
in modo assai ampio, come coscienza e volontà di compiere l'atto
materiale in cui si concretizza lo spoglio (cfr. Cassazione 2316/011;
vedi anche Cassazione 3955/08, ove si afferma espressamente la
necessità che la condotta materiale – allo stesso modo di quanto
avviene sia in diritto penale, che nella fattispecie generale di
illecito aquiliano – sia sorretta da dolo o colpa.
Orbene
ciò premesso, costituisce principio generale, valevole per qualunque
tipologia di illecito, che l'elemento soggettivo sotteso all'atto
materiale sia escluso dalla esistenza di una causa scriminante.
Tanto
deve dirsi anche con riferimento all'illecito possessorio di cui
all'art. 1168 cc, pena la violazione di un principio generalissimo
dell'ordinamento, ovvero il principio di non contraddizione, in virtù
del quale, non può una stessa condotta essere allo stesso tempo
valutata dal diritto come conforme o non conforme a legge, ovvero
lecita – perché scriminata dallo stato di necessità – ed
illecita insieme.
In
altre parole, ragioni di sistematicità inducono a ritenere che la
scriminante valga ad escludere la coscienza e la volontà dell'atto,
anche in materia di spoglio, costituendo principio generale che il
dolo ovvero la colpa – che dello spoglio sono pacificamente
elementi costitutivi, per come visto, così come dell'illecito
aquiliano e di quello penale – rimangono esclusi, ove ricorra stato
di necessità in capo al soggetto agente.
Lo
spoglio va dunque nel caso di specie escluso, per via del difetto del
necessario requisito soggettivo.
Spese
compensate, attese le ragioni della decisione me la particolarità
delle questioni trattate.ù
PQM
Il
Tribunale, sul ricorso epigrafato,
Rigetta
il ricorso
Compensa
le spese
Asti
9/5/2011
Art
54 cp
Non
è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto
dalla necessità di salvare sé od altri dal pericolo attuale di un
danno grave alla persona, pericolo da lui non volontariamente
causato, né altrimenti evitabile, sempre che il fatto sia
proporzionato al pericolo.
Questa disposizione non si applica a chi ha un particolare dovere giuridico di esporsi al pericolo.
La disposizione della prima parte di questo articolo si applica anche se lo stato di necessità è determinato dall'altrui minaccia [611]; ma, in tal caso, del fatto commesso dalla persona minacciata risponde chi l'ha costretta a commetterlo.
Questa disposizione non si applica a chi ha un particolare dovere giuridico di esporsi al pericolo.
La disposizione della prima parte di questo articolo si applica anche se lo stato di necessità è determinato dall'altrui minaccia [611]; ma, in tal caso, del fatto commesso dalla persona minacciata risponde chi l'ha costretta a commetterlo.
Articolo
2045.
Quando
chi ha compiuto il fatto dannoso vi è stato costretto dalla
necessità di salvare se o altri dal pericolo attuale di un danno
grave alla persona (1447), e il pericolo non è stato da lui
volontariamente causato ne era altrimenti evitabile (Cod. Pen. 54),
al danneggiato è dovuta un’indennità, la cui misura e rimessa
all’equo apprezzamento del giudice (att. 194).
Art.
1168 Azione di reintegrazione
Chi
è stato violentemente od occultamente spogliato del possesso può,
entro l`anno dal
sofferto
spoglio, chiedere contro l`autore di esso la reintegrazione del
possesso medesimo.
L`azione è concessa altresì a chi ha la detenzione della cosa (1140), tranne il caso che l`abbiano per ragioni di servizio o di ospitalità. Se lo spoglio è clandestino, il termine per chiedere la reintegrazione decorre dal giorno della scoperta dello spoglio. La reintegrazione deve ordinarsi dal giudice sulla semplice notorietà del fatto, senza dilazione (Cod. Proc. Civ. 703 e seguenti).
L`azione è concessa altresì a chi ha la detenzione della cosa (1140), tranne il caso che l`abbiano per ragioni di servizio o di ospitalità. Se lo spoglio è clandestino, il termine per chiedere la reintegrazione decorre dal giorno della scoperta dello spoglio. La reintegrazione deve ordinarsi dal giudice sulla semplice notorietà del fatto, senza dilazione (Cod. Proc. Civ. 703 e seguenti).
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