Una festa per divertirsi, stare insieme e conoscersi meglio; in questo una festa normale, scandita da momenti di incontro, ristorazione e musica. Alle undici circa del mattino sono arrivati i partecipanti alla biciclettata ecologica. Volontari/attivisti hanno spiegato le ragioni dell'appuntamento. Perché quella tappa proprio lì, nel cortile della casa “occupata” e perché sono tornate d'attualità le questioni del nucleare e della privatizzazione dell'acqua. Questa volta si tratta di un colpo di mano contro i referendum e contro la volontà popolare; la spregiudicatezza di una maggioranza parlamentare guidata solo da interessi tribali. Non se ne può più !
I ciclisti erano più numerosi dell'anno scorso e hanno indugiato più a lungo attorno ai tavoli delle bevande, fredde e calde. Il the poteva essere accompagnato da pasticcini o panini. Insomma una accoglienza molto sentita in una circostanza che ne ha accresciuto il significato. E' ormai un anno che la palazzina è “occupata”, per un anno intero è stata sottratta all'incuria e alla speculazione immobiliare ed è stata il domicilio di sei famiglie colpite da sfratto. Un risultato provvisorio, ma pur sempre un risultato.
Dunque una incontro con la città per festeggiare un anniversario ma anche per ripercorre l'anno trascorso, farne un bilancio e indagarne le prospettive. Alcuni animatori hanno tenuto a bada i bambini assecondando ma anche disciplinando la loro sfrenata voglia di gioco. Sono tanti i bambini in via Allende, molti frequentano la scuola, sono loro che danno un tratto forte di “normalità” a questa esperienza comunitaria. Nel pomeriggio è stato proiettato un videoclip sulla “occupazione”. Bello, militante, seguito con molto interesse ma con quello non si è riusciti ad innescare una discussione. Pazienza, ci saranno altre occasioni per farlo. Per dare luogo all'evento era stata interrotto il concerto dei Co.Co.Pro, i presenti erano impazienti di riprenderne l'ascolto. L'interesse per quella musica, popolare ed evocativa ha avuto il sopravvento su una riflessione ad alta voce, che peraltro si annunciava tutt'altro che semplice.
Ho seguito l'impulso degli altri presenti, mi sono taciuto e mi sono messo ad riascoltare. I testi di Amodei, messi in musica da Liberovici, tirati fuori dal dimenticatoio della storia !! E' stata davvero una sorpresa. Gli esecutori sono giovanissimi e dunque non possono avere vissuto il tempo di quelle canzoni popolari e di lotta, così lontane dal gusto giovanile oggi dominante. Chissà come li avranno appresi, mi sono chiesto. La musica è raffinata, ricca di dissonanze, con una armonia tutt'altro che banale e può aver mantenuto un interesse per musicisti colti. Ma le parole !!! Mi sono tornati alla mente i miei percorsi, la partecipazione intensa agli avvenimenti pubblici a cavallo degli anni 60. Mentre i ragazzi suonavano – chissà se conoscono anche “il tarlo del plusvalore”, mi sono chiesto – io ero colpito dal ricordo della mia giovinezza, ma ancor più dalla sensazione di un abisso tra i tempi storici da me vissuti, una inconciliabile differenza delle loro temperie politiche e culturali. Ho pensato che quello che stavamo facendo lì e in via Orfanotrofio e tutte le altre azioni agite durante l'anno, in difesa del diritto all'abitare, fosse compreso nel tentativo di superare quell'abisso, di rimettere in sintonia il passato e il presente, di riallacciare un filo rosso spezzato ormai da troppo tempo.
La banda Spessotto, che ha suonato in finale di serata, è stata intrigante in modo assai diverso. Sto riferendo ovviamente le mie impressioni. Loro ripropongono Capossela, solo una imitazione ma assai efficace, non solo perché evidenzia la loro bravura di musicisti. Dati i tempi, può funzionare come reattivo. Capossela è uno dei nostri, anima delle nostre incertezze, bizzarrie, passioni surreali. Fa il contrappunto ironico, satirico e sentimentale a quella esplosione di individualismo proprietario e identitario che è una delle chiavi di lettura della presente formazione sociale. L'uso del dialetto, del non senso, della riproposizione, niente affatto melensa, di realtà sociali remote, ha la doppia funzione di svelare la realtà presente e di rovesciarla cogliendone tutta la contraddittorietà. Ho pensato, come in molte altre occasioni, che potremmo fare meglio questo esercizio di dialettica, per rendere la nostra azione più efficace, all'altezza delle “moderne contraddizioni del capitale”.
Fuori da queste mie elucubrazioni la festa è continuata ed è stata festa e festa soprattutto per le famiglie, le persone straordinarie che abbiamo conosciuto nel corso di questo anno e con le quali siamo ormai in rapporto sentimentale. Hanno fatto di tutto per offrire agli ospiti il meglio dell'accoglienza. La misura l'abbiamo avuta nella cura speciale che hanno messo nel preparare il cibo e nella attesa di conferma che tradivano porgendo porzioni, rinnovando le portate e l'arredo del tavolo su cui venivano posti ed esposti i piatti. La gentilezza e il sorriso hanno completato il condimento gustosissimo di queste umanissime relazioni.
Ha giocato il fatto che le famiglie sono nella loro grandissima maggioranza nordafricane. Loro hanno una cultura del cibo assolutamente diversa dalla nostra anzi, mentre loro hanno una cultura, noi abbiamo ormai corrotto il nostro gusto. Ci siamo fatti colonizzare il pasto dalle multinazionali dell'alimentazione. Da M'Donald, Danone, Findus e compagnia ci siamo fatti rapinare il tempo necessario per nutrirci in modo naturale. Per Fatima, Diotima e le altre il pasto e la relativa preparazione non sono solo una ricetta per soddisfare la fame di amici e parenti. Per capire che la loro cucina vuole soddisfare i cinque sensi e al tempo stesso vuole essere una propedeutica ai piaceri dell'intelletto, basta osservare le geometrie e i colori con cui vengono disposti in grandi piatti i cotti e i crudi, apprezzare la varietà dei sapori e il loro esito dovuto ad un uso sistematico e sapiente delle spezie, apprendere, oltre queste impressioni superficiali, le tecniche di cottura e di composizione dei vari ingredienti. Il tempo e il ruolo speciale delle donne sono le risorse principali di questa cucina. Non si tratta dunque solo di ricette in armonia con una precettistica del buon vivere. Ovviamente la questione del ruolo delle donne arabe è delicatissima e non si può dire sbrigativamente che esistono per soddisfare il califfo. C'è in giro un modo troppo sommario di affrontare la questione che alla fine conduce ad una sorta di colonialismo occidentale nel campo delle idee e dei costumi. Ma questo è un altro discorso.
C'è stata molta gente alla festa ed ognuno ha apprezzato a modo suo questo aspetto dell'accoglienza. Io sono arrivato lì avendo già accettato molti inviti, partecipato a molti convivi e soddisfatto in vari modi la mia curiosità. Posso dare dei consigli di lettura (Storia della Filosofia islamica, Carmela Baffoni, oscar Mondadori; La cucina del medio oriente e del nordafrica, Claudia Roden, Ponte delle Grazie) Ho appreso per esempio che alcuni califfi portavano alla loro tavola igienisti, poeti e filosofi. Costoro alla fine del pasto si componevano in autori e in giuria per premiare il testo poetico/filosofico che meglio interpretava il sapore e la preparazione di ogni piatto di portata.
Tra i protagonisti di questa festa ci sono state dunque le famiglie. Non era la loro realtà sociale che doveva apparire, non le asprezze di una vita da precari. Un ingresso in questa dimensione analitica era offerto dal videoclip e e dalla discussione che avrebbe dovuto seguire. Come già detto si è tralasciato di superare questa soglia. Nonostante ciò non saranno stati pochi quelli che per conto loro avranno tentato di cogliere un nesso tra realtà sociale delle sei famiglie e la bellezza, la condivisione e spontaneità dei tanti atti e comportamenti, l'affetto degli abbracci e così via. Per quanto mi riguarda , dunque considerando quel rovesciamento dell'individualismo proprietario di cui dicevo, io penso che tutta questa realtà di persone in anima e corpo debba essere al centro di una assunzione di responsabilità in primo luogo individuale, il più possibile lontana dalle astrazioni della politica e dei saperi dominanti, il più possibile vicina a liberi progetti di vita, inclusivi e solidaristici. Credo che questo sia accaduto o stia per accadere, fa lo stesso.
Nei giorni precedenti la festa, attraverso tre sedute, ha avuto luogo il processo alle famiglie occupanti, accusate di invasione di edificio. Si sapeva di aver documentato nel modo migliore il cosiddetto “ stato di necessità” e dunque era attesa una assoluzione. Non è stato così e l'amarezza dura tuttora. E' rimasto fuori dalla valutazione dei giudici il fatto che le condizioni in cui vengono messi gli aspiranti ad un lavoro retribuito sono una sistematica e logorante alienazione del tempo personale. Ciò che per il capitale è un disegno razionale, per chi cerca lavoro è la minaccia di essere esclusi dal mercato, dunque non esistere. I giudici non hanno voluto vedere queste minaccia e tutto ciò che ne deriva, una svista che ha viziato la loro disamina e li ha indotti a concludere il processo con una condanna. C'è ovviamente l'intenzione di ricorrere.
I tempi della festa, aperti alla spontaneità e alla condivisione dei comportamenti ma anche agli imprevisti, sono un po' i tempi di questa vertenza con l'opinione pubblica ostile, con la proprietà e con gli interlocutori istituzionali. Le sei famiglie di via Allende, l'associazione che le ha accompagnate, il movimento per il diritto alla casa ad Asti, hanno fatto un passo avanti che meritava almeno una festa. Esattamente quel che accade quando una vicenda comincia a trasformarsi in storia da raccontare.
Asti 27/04/11
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