Dopo essere saliti sulla torre troiana per richiamare per l'ennesima volta l'attenzione dei cittadini e delle istituzioni sull'emergenza abitativa in città, ci saremmo aspettati dal sindaco un altro provvedimento, non questo. Ci è arrivata invece una ordinanza di inabitabilità e di sgombero. Il provvedimento, senza il margine di una ulteriore verifica oltre quella fatta dai Vigili del Fuoco su ordine della Procura, annota in modo del tutto pretestuoso rischi di incolumità delle persone e condizioni abitative fuori norma.
Se è un “atto dovuto”, è l'ultimo di una lunga serie. Un modo di annegare la sostanza nella forma. Un modo di rendersi irreperibili alla responsabilità verso le famiglie, quelle che occupano edifici vuoti da anni, quelle che affollano senza speranza le graduatorie atc, quelle che tacciono e disperdono il loro malessere nel mare magnum delle relazioni sociali.
Il bisogno abitativo insoddisfatto è un problema sociale gravissimo. Non lo diciamo noi, lo dicono tutte le agenzie che si occupano del problema (Anci, Federcasa, Censis....) Dividere chi “occupa” da chi pazienta e tace, e lodare quest'ultimo (come fanno il Sindaco e l'assessore ai Servizi Sociali), significa negare la gravità del problema e assolverne i responsabili.
Il bisogno abitativo insoddisfatto è un problema sociale gravissimo. Non lo diciamo noi, lo dicono tutte le agenzie che si occupano del problema (Anci, Federcasa, Censis....) Dividere chi “occupa” da chi pazienta e tace, e lodare quest'ultimo (come fanno il Sindaco e l'assessore ai Servizi Sociali), significa negare la gravità del problema e assolverne i responsabili.
Da parte nostra abbiamo fatto tutto il possibile per avviare un dialogo vero. Ogni nostra azione l'abbiamo pensata ed agita in modo che apparisse in ogni momento, razionale e responsabile. Così dovrebbero essere i provvedimenti di chi ha a cuore la coesione sociale delle famiglie e della comunità. Allora si dovrebbe ammettere che la situazione è eccezionale, che l'emergenza e il bisogno abitativo sono fuori dell'ordinario e dunque richiedono provvedimenti eccezionali. Senza questa razionalità ogni prova di dialogo, ogni tentativo di affrontare i problemi in modo partecipato (i famosi tavoli), non possono avere successo.
Ma nessuno del “palazzo” vuole ammettere la eccezionalità della situazione. Nessuno chiede provvedimenti che accrescano subito la disponibilità di alloggi popolari o di alloggi utilizzabili, anche solo temporaneamente, per dare domicilio alle famiglie che hanno perso il loro o prossimamente lo perderanno. Invece si chiede alle famiglie, di sopportare i danni peggiori della presente crisi sociale, di tacere, di subire passivamente. Ancora peggio, si assecondano i più esclusi tra i cittadini a scaricare l'inquietudine su chi sta peggio o a consumare l'incertezza nella ricerca di un santo protettore. Nessuno finora ha voluto prendere in considerazione le migliaia di alloggi privati sfitti, le decine di edifici vuoti in attesa di valorizzazione (si intende mercantile). Questo tirarsi fuori dal problema conferma implicitamente l'egoismo sociale della possidenza cittadina e delle corporazioni che ne condividono gli interessi.
Paradossalmente, sono proprio le “occupazioni” che dimostrano la possibilità di fare qualcosa che non sia l'ordinaria amministrazione. Solo che si abbia un rispetto meno sacrale della proprietà e degli interessi di chi in questi ultimi anni si è arricchito con (o a margine) del mercato immobiliare. Un mercato che è escludente perché speculativo, perché non si confronta con una vera politica per la casa popolare, un mercato che fa le fortune di pochi moltiplicando i danni per molti (cementificazione del territorio, minacce di bolle immobiliari, canoni di locazione irraggiungibili per le famiglie con redditi modesti o intermittenti).
Si può inoltre fare qualcosa che non sia solo assistenzialismo o filantropia. Basta riproporre praticamente, non nelle giaculatorie, una cultura dei diritti e della solidarietà. Noi ci abbiamo provato, dove altri hanno macinato solo parole e moralismi da quattro soldi. Abbiamo dato un senso alle nostre azioni, oltre la nostra personale necessità. Non ci siamo appropriati di edifici, ne abbiamo avuto cura, perché li abbiamo riconosciuti edifici di proprietà pubblica. Non li abbiamo solo “occupati”, li stiamo usando con regole che prefigurano una situazione di autogestione (affitto proporzionale al reddito, amministrazione in comune di tutte le esigenze del condominio). Non ne abbiamo fatto dei fortini assediati ma domicili aperti alla città, ai sentimenti di condivisione, accoglienza e di solidarietà dei cittadini.
Via Allende era un edificio residenziale abbandonato all'incuria, adesso si può considerare un condominio modello. In via orfanotrofio l'esperienza è ancora più interessante e lo sarebbe per chiunque volesse considerarla come un investimento di beni relazionali in condizioni di “illegalità. Abbiamo agito un progetto di auto-recupero che ha dato risultati a nostro avviso meritevoli di attenzione. Tutti gli interventi di piccola manutenzione che abbiamo fatto per realizzare delle unità abitative attorno ai servizi preesistenti e tutti gli altri interventi realizzati per garantire condizioni minime di abitabilità li abbiamo resi conformi alle norma igienico/sanitarie (decreto 05/07/75).
Abbiamo in gran parte agiti da soli, valorizzando le nostre professionalità, la nostra inventiva e la nostra rete di relazioni. Certo, avremmo conseguito risultati migliori se qualcuno avesse accolto la nostra richiesta di un allacciamento all'impianto di riscaldamento preesistente. Quella richiesta non è stata mai presa in considerazione e neppure la richiesta di avere il servizio dell'asp per lo smaltimento dei rifiuti. Così abbiamo dovuto installare le stufe a legna, così i rifiuti abbiamo dovuto smaltirli senza differenziarli e quelli ingombranti li trasportiamo regolarmente all'eco centro. Certo, non sappiamo se abbiamo rispettato le norme UNI, quelle della verifica dei Vigili del Fuoco, non siamo dei costruttori e nemmeno dei validatori di impianti appena installati, quello che ci sentiamo di dire adesso e che quelle norme non sono sovrapponibili con quelle del decreto che abbiamo citato. Un decreto che conosciamo bene, per diretta esperienza, per averlo invocato all'Igiene Pubblica, come inquilini paganti di alloggi fatiscenti, in condizioni igienico/sanitarie e qualche volta edilizie, fuori norma.
Riteniamo di aver fatto cose meritevoli di attenzione perché per una volta non abbiamo delegato ad altri il nostro problema, non abbiamo chiesto favori e assistenzialismo, non abbiamo voluto svendere la nostra dignità e la coesione delle nostre famiglie. Per il resto in via Orfanotrofio abbiamo voluto raccogliere alcune suggestioni che ci venivano offerte dalla storia remota e recente dell'edificio. L'esperienza di mutuo soccorso di cui sono stati protagonisti gli operai metallurgici negli anni venti (pensiamo che la nostra lo sia), nonché una ipotesi di riuso descritta nello “studio di fattibilità” a corredo della Variante urbanistica degli edifici dell'ASL. Questa ipotesi risponde esattamente alle nostre necessità e potrebbe corrispondere agli impegni di una giunta comunale più attenta ai bisogni dei ceti popolari piuttosto che a quelli della possidenza. Si tratta di una ristrutturazione dell'intero edificio per ricavarne 9 alloggi di edilizia convenzionata e 11 di edilizia sovvenzionata.
Alla luce di tutto questo è stato davvero penoso per noi leggere il testo della ordinanza del sindaco: parole lontanissime dalla realtà dei problemi, un argomentare assolutamente ipocrita. Non c'è mai stato alcun pericolo, dopo l'occupazione, che gli stabili si trasformassero in ricettacolo di vagabondi o naufraghi della vita. Prima invece il pericolo c'era e per via Allende ne abbiamo le prove. Non c'è alcun pericolo per l'incolumità delle persone. Abbiamo messo a punto la ventilazione in tutti i locali in cui ci sono stufe a legna, le stufe le alimentiamo solo con legna da ardere regolarmente acquistata, abbiamo allontanato tutte le bombole a gas non utilizzate. In entrambi gli edifici la abitabilità non è neppure paragonabile a quella approssimata di centinaia di famiglie che in città sopravvivono in topaie affittate a caro prezzo, con impianti della luce risalenti agli anni 50, spesso senza riscaldamento, umide di quella umidità non risolvibile che garantisce febbri e reumatismi, con condizioni igienico sanitarie insostenibili ma confermate per anni, per decenni, a dispetto delle numerose e alla fine innocue per i proprietari, verifiche dell'igiene pubblica.
Concludiamo con quattro impegni:
- consegnare al sindaco, al prefetto e ALL'ASL questo promemoria, confermando la nostra impossibilità a mettere nel negoziato il nostro diritto ad avere una abitazione.
- restituire al Sindaco una delle ordinanze, per simboleggiare la restituzione di tutte e la libera scelta di violare l'art. 650 del c.p.
- rendere pubblico questo nostro orientamento con le iniziative che riteniamo le più opportune
- verificare le condizioni di un ricorso al Tar
Asti24/03/11
Coordinamento Asti-Est - Le famiglie di via Orfanotrofio
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