lunedì 14 febbraio 2011

TAVOLO CERCASI


Abbiamo partecipato alla riunione (24 novembre 2010) convocata dal Prefetto perché l'avevamo sollecitata ma non ci aspettavamo rose e fiori. Infatti si è conclusa in modo interlocutorio, sottolineando l'assenza del Comune, confermando le linee d'azione che alcune associazioni si sono date da tempo (Caritas, Coordinamento Asti-Est, Effatà), lasciando assolutamente aperto il progetto presentato, peraltro appena abbozzato sia nelle finalità, sia nella titolarità, sia nei principali presupposti (la collaborazione della fondazione CRA, dei consorzi dei servizi CISA e COGESA, le dimensioni del fondo). Ciononostante e a dispetto dei limiti che abbiamo creduto di dover segnalare, saremo presenti anche alle prossime riunionI.
Il diritto all'abitare non è solo minacciato, è sempre più spesso negato nelle centinai di procedure di sfratto, molte già avviate alla fase esecutiva (vedere i dati della stessa Prefettura). D'altra parte gli strumenti approntati per prevenire l'avvio delle procedure, con leggi regionali e nazionali, si mostrano scarsamente efficaci, sia perché sempre meno finanziati, sia perché formalizzati in un contesto sociale assai diverso da quello presente. Un ulteriore taglio è stato apportato dall'ultima finanziaria al “contributo di sostegno alla locazioni”, mentre il sistema delle tutele/sanzioni degli inquilini dell'atc, riformato dalla recente LR, trascina ad Asti un pesante contenzioso di 160 famiglie, tra convenzioni a tempo scadute e non rinnovate e convenzioni decadute e non risolte.
Il diritto all'abitare è ancora più gravemente compromesso dalla crisi sociale presente, cioè dall'agire di circostanze che prescindono del tutto da ciò che è umanamente alla portata di persone singole, di singole famiglie. Possiamo chiamare queste circostanze come vogliamo, possiamo considerarle più o meno provvisorie ma di un aspetto dovremmo essere sicuri, hanno cause e responsabilità e soprattutto solide convenienze nei palazzi del potere e nelle ricche corporazioni piuttosto che nelle case dei cittadini con redditi modesti o precari. Bisognerebbe non dimenticarlo.
Noi crediamo che lo spirito dominante della riunione a cui abbiamo partecipato abbia parlato così: il mondo è quello che è, compreso ovviamente quello a noi più prossimo, cerchiamo di renderlo meno crudele possibile. Chi ha preso la parola si è riconosciuto più o meno (noi molto meno) in quello spirito, ma c'era chi ha taciuto (i sindacati degli inquilini), chi ha detto parole di circostanza e chi era assente. Le associazioni che tutelano la piccola proprietà immobiliare erano assenti pur essendo tra i principali titolari del progetto, che, non a caso, si vuole collocato nell'aerea delle iniziative pubblico/privato.
Tra gli assenti il Comune. E' vero che nonè stato invitato perché, come ha provato a spiegare il relatore, il progetto in discussione sarebbe “complementare” all'azione del Comune. Non ha convinto nessuno, ovviamente non noi che dell'assessore ai Servizi Sociali abbiamo chiesto le dimissioni. Sta di fatto che il riferimento ad esperienze fatte altrove (Bergamo, Udine), di cui la Caritas si è fatta portavoce in un recente convegno, è apparso improprio dato che quelle erano e sono segnate da un massiccio intervento pubblico, di Comuni e Regioni.
E veniamo al progetto, e alle nostre riserve. Si potrebbe considerare una riedizione dell'agenzia Casa del Comune, senza i requisiti escludenti per gli aspiranti inquilini (lo sfratto già subito, la procedura di sfratto in corso, la mancanza di un reddito minimo garantito) e con un ruolo delle associazioni molto impegnativo, soprattutto nell'accompagnamento delle famiglie (pratica che del resto tutte le associazioni fanno, sia pure con procedure e approcci assai diversi), compreso un aspetto decisamente ostico e da parte nostra irricevibile, vale a dire la garanzia ai proprietari del rispetto delladurata della locazione a prescindere dalle condizioni sociali dell'inquilino.
Se non abbiamo capito male, la selezione delle persone e delle famiglie a cui si offrirebbe “l'opportunità di uscire da una situazione di difficoltà” non avverrebbe solo con criteri di reddito ma soprattutto con criteri morali; una sorta di “patto tra galantuomini” con persone che “devono aver voglia di lavorare, devono essere di costumi morigerati, devono tener fede alla parola data” (il pensiero del Presidente della Caritas, più o meno). Non abbiamo nulla in contrario ad adottare criteri morali, noi stessi li adottiamo e qualunque pedagogia non può farne a meno. Noi però presumiamo che si tratti di una pratica che, in relazione al contesto (ai suoi vincoli, alle sue determinazioni), può mutare radicalmente di senso.
Nel corso della riunione abbiamo provato a richiamare il contesto (la crisi sociale, come è caratterizzata) ma pare che le nostre azioni “illegali” ci tolgano ascolto. Ebbene la nostra opinione è che in questo contesto le azioni filantropiche, come quelle a cui abbiamo fatto cenno, comprese quelle previste dal progetto, possono trasformarsi facilmente in azioni coerenti con il “moderno” dominio del mercato (delle sue regole, delle sue compatibilità, della sua morale cinica e opportunistica, della sua ideologia). Annichilita l'azione politica, in questo caso quella di una politica della casa ispirata ai diritti costituzionali, l'emergenza è diventata un dato strutturale e la competizione/ricerca di sopravvivere sono le modalità con cui il potere e gli interessi dominanti si alimentano (nella nostra città come su tutto il pianeta). Poco importa che siano gestite dalla Caritas, dal Coordinamento o dalle associazioni, con qualche riguardo in più per le persone. In questo contesto gli alloggi parcheggio servono solo a far ruotare una quota di malessere sociale: l'idea ha già un titolare, l'assessore ai Servizi Sociali.
Aggiungiamo alcune considerazioni di carattere generale. La filantropia, nobile quanto si vuole, è capace di mobilitare risorse economiche e morali quanto si vuole, è una ottima propedeutica all'azione politica solo se concorre con quest'ultima “a rimuovere le cause dell'esclusione sociale”. (la sottolineatura è nostra, essere di complemento non sostitutivi, si è detto e ripetuto tante volte),
Per esperienza diretta, coinvolti come siamo nella autogestione degli alloggi di via Allende, sappiamo quanto sia difficile, nel contesto dato, creare le condizioni di una mobilità sociale positiva, da casa a casa, da condizioni di malessere a condizioni di benessere, dalla precarietà ai diritti. Non sfugge alla nostra attenzione il pericolo della de-responsabilizzazione sociale che si determinerebbe quando i diritti sono o si vogliono garantiti dalla Stato, ma non addebitiamo ad un automatismo qualsivoglia il fatto che questa de-responsabilizzazione sia avvenuta (assistenzialismo, azzardo morale). Una cultura dei diritti non implica necessariamente una cessione di sovranità, proprio quel che si è scelto per avviare le politiche novecentesche del welfare.
Al punto in cui siamo, essendo impossibile un ritorno indietro, noi pensiamo che il percorso per tornare ad esercitare dei diritti possa muovere da una riappropriazione di sovranità. Semplificando e più concretamente: è la comunità di via Allende che decide la propria sorte. E' la stessa comunità che ha deciso di disobbedire per ricondurre un bene pubblico al suo valore d'uso. La nostra associazione è impegnata nel difficile tentativo di “ concorrere a rimuovere le cause della esclusione sociale”. Non concediamo nulla all'idea, oggi dominante, che chi è povero è colpa sua. Anzi consideriamo la povertà illegale e consideriamo fuori dalla nostra legge morale tutte le pratiche sociali che limitano la libertà e feriscono la dignità degli uomini. Ci comportiamo di conseguenza. E rimettiamo al mittente le accuse di illegalismo che ci vengono mosse. Solo in una società totalitaria le leggi non vengono mai messe in discussione o disobbedite.La nostra associazione deve trovare entro il 13 di dicembre una soluzione ai problemi delle famiglie che mettiamo in allegato, diversamente sarà lo sfratto esecutivo e la ferita a relazioni di vita che tutti noi consideriamo normalmente “non negoziabili”. Per alcune siamo ormai al 3° rinvio/contrasto dell'esecuzione (alcuni rinvii ottenuti indennizzando il proprietario), altre hanno il proprietario “dalla parte del problema” (piccoli risparmiatori, non immobiliari) Non sappiamo se queste famiglie corrispondono all'identikit della Caritas, possiamo però considerarle “naufraghe” di una società che fa della disuguaglianza e della competizione tra poveri e meno poveri le condizioni del suo “sviluppo”. Sono famiglie che hanno conosciuto un periodo di relativa stabilità e che adesso hanno perso quella stabilità loro malgrado. Ci domandiamo se i nostri interlocutori al tavolo hanno soluzioni o suggerimenti da proporci.

Nessun commento:

Posta un commento

  FONDO DI RESISTENZA   con i pregiudicati della ex Mutua SOMMA VERSATA A TUTT'OGGI     7300 e...