L'assessore ai Servizi Sociali ha riunito “a palazzo” (il 22 febbraio) alcuni consiglieri di maggioranza e di opposizione, i sindacati degli inquilini, il direttore dell'atc, le associazioni della piccola proprietà immobiliare, il viceprefetto e il direttore dall'igiene pubblica. Chi si aspettava dall'assessore parole o annunci all'altezza della gravità dei problemi è stato deluso. Il più seccato di tutti doveva essere il viceprefetto. Si è adoperato per mesi nel tentativo di promuovere un progetto partecipato di tutela del diritto all'abitare, in cui l'emergenza fosse temperata da una maggiore disponibilità di risorse e dalla responsabilizzazione diretta di enti e associazioni, soggetti pubblici e privati.
Ma anche i pochi rappresentanti della opposizione politica in Consiglio hanno dovuto prendere atto di essere stati convocati in una sorta di “consulta del sovrano”, per ascoltare questioni di ordinaria amministrazione. L'assessore non ha fornito alcun dato d'inchiesta, non ha condiviso nessuna considerazione sugli aspetti principali del problema: l'offerta residuale di case popolari, la precarietà dei redditi, un mercato immobiliare speculativo ed escludente, la presenza in città di migliaia di alloggi sfitti e di manufatti edilizi vuoti e in attesa di “valorizzazione” mercantile.
Come ognuno sa, il bisogno abitativo insoddisfatto è un problema sociale gravissimo, che coinvolge centinaia di famiglie (centinaia di migliaia sul territorio nazionale). Ma è anche un problema complesso, che richiede una pluralità di risposte che nell'ordinaria amministrazione non si trovano. Invece l'assessore non va oltre, si arrangia con quel che c'è (i 108 alloggi di nuova costruzione che arriveranno, ma gli aspiranti assegnatari sono 600), prende quel che altri offrono (la Caritas con un fondo antisfratti), rimuove o nega le cause dell'emergenza. Così può ridurre al minimo l'uso delle riserve, pure previsto dalla legge regionale (art.10, LR febbraio 2010, n°3) fino al 50 % degli alloggi disponibili (con esplicito riferimento agli sfratti esecutivi), confermare l'abolizione del “tavolo delle emergenze”, dare la casa ai piemontesi, i tre suoi principali obiettivi programmatici. Alla “consulta” li ha ribaditi e in più, senza temere il ridicolo, ha fatto formulare, al suo funzionario più strapazzato, il seguente azzardo morale:“se riserviamo una casa popolare ad una famiglia sfrattata in graduatoria con 5 punti, induciamo tutte le altre famiglie in graduatoria a chiedere uno sfratto al proprio padrone di casa”.
L'unico provvedimento concreto portato a questa “consulta del sovrano” è stata la trasformazione di 10 convenzioni a tempo determinato, scadute, in convenzioni permanenti. Ma il nostro conto non torna. Alcune convenzioni scadute sono state escluse da questa “sanatoria” (art. 26, LR febbraio 2010, n°3), il che configura a nostro giudizio una violazione del principio di uguaglianza. Ma è anche discutibile il rinvio ad eventuali proroghe di quelle non ancora scadute (art.10, comma 5, LR febbraio 2010, n°3). Il formale rispetto della nuova legge escluderebbe infatti l'ipotesi di proroghe o rinvii. Tanto valeva, a nostro giudizio, inserirle tutte (sono 30) nella “sanatoria”. L'assessore ha inoltre taciuto sulle 130 revoche delle assegnazioni fatte a distanza di anni, per presunta “morosità colpevole”, il cui esito è sospeso dalla legge regionale fino “all'adozione dei regolamenti attuativi” (art. 27, LR febbraio 2010, n°3). Sta di fatto che al momento l'esito di quelle revoche è appeso a improbabili “piani di rientro” delle morosità nonché ad un cospicuo contenzioso economico tra Comune e Atc. Sono 130 famiglie nella condizione di “occupanti senza titolo” su cui pesa la minaccia dello sgombero e la assoluta ignoranza circa i possibili effetti della nuova legge regionale.
I sindacati degli inquilini le associazioni della piccola proprietà edilizia hanno taciuto, come hanno fatto in altre occasioni simili. Forse davano scontato il rituale e l'impossibilità di essere parte attiva in una “consulta” come quella. Però sarebbe bene che meditassero sul loro ruolo e sull'uso a conferma del ruolo altrui che ne viene fatto.
Dulcis in fundo l'assessore ha lanciato per l'ennesima volta l'interdizione verso la nostra associazione, il Coordinamento Asti Est, responsabile a suo dire di clientelismo, violenze e azioni illegali. Su clientelismo e violenza, lasciamo perdere. Il giudizio sulle nostre modalità di azione lo affidiamo alle famiglie “occupanti” e a tutte le persone che condividono o accompagnano le nostre decisioni. In quanto alle nostre “azioni illegali”, che fino al momento ci hanno procurato 33 denunce e l'annuncio di un processo, confidiamo nella giurisdizione (atteggiamento ignoto all'assessore che evidentemente immagina di vivere in uno Stato totalitario) e soprattutto nella nostra convinzione di dover fare “la cosa giusta” fino alla consapevole disobbedienza alla legge, quando sono minacciati diritti che toccano direttamente la libertà e la dignità delle persone.
In quanto alle 17 famiglie (in maggioranza di migranti) che occupano gli stabili di via Allende e di via Orfanotrofio e al nostro auspicio che la vicenda si concluda con la tutela del loro diritto all'abitare, l'assessore, discriminando tra le famiglie italiane e le altre, ha formulato il seguente geometrico teorema: “se hanno il permesso di soggiorno lavorano e se lavorano possono trovarsi un alloggio”. Così con una sola dichiarazione ha distillato la complessità del suo pensiero vale a dire l'emergenza è una invenzione, i problemi abitativi dei migranti si risolvono rispedendo gli stessi ai loro paesi d'origine e l'articolo 3 della nostra Costituzione non ha alcun valore.
Concludiamo con due considerazioni. Noi non abbiamo nessun interesse a confrontarci con l'assessore infatti, giudicandolo incapace e xenofobo, ne abbiamo auspicato più volte le dimissioni. Abbiamo invece interesse a confrontarci con persone dialoganti e consapevoli del dramma di decine di famiglie e della ferita che subisce la coesione sociale della città. Il problema della nostra interdizione da eventuali “tavoli” di confronto o di negoziato, non è pertanto nostro. Da questo momento è consegnato alla responsabilità di quanti parteciperanno a diverso titolo (o non parteciperanno) ai “tavoli” convocati dall'assessore o da chicchessia sulle questioni del diritto all'abitare.
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