sabato 15 marzo 2008

LA CASSAZIONE E IL DIRITTO ALL'ABITARE

CASSAZIONE SI. La casa non può essere soltanto una merce è una necessità. ASSESSORATO AI SERVIZI SOCIALI. Interventi ammazza famiglie dell'Ufficio Minori.

(inviato ai periodici locali)

Cogliamo un non so che di surreale nella sentenza della Cassazione, compreso il riferimento all'articolo 2 della Costituzione che recita “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”.

Di cosa stiamo parlando ? Queste parole sono lontanissime dalla realtà sociale e politica che si è venuta formando in questi ultimi decenni, dopo che governi di ogni colore hanno consegnato “al mercato” il bisogno abitativo, vale a dire il «diritto all'abitazione» e hanno consegnato al mercato ogni altro diritto. Con i risultati che si vedono: una esplosione della ricchezza ma anche di una disuguaglianza come non si era mai vista, con una parte della società fin troppo soddisfatta e con il gusto delle speculazioni finanziarie e immobiliari, ed un altra, di ceti popolari, che subisce una sempre più insopportabile condizione di precarietà e, nel caso di cui stiamo parlando, la negazione del diritto all'abitare.

Certo non è colpa di quei giudici, che giustamente si sono espressi in coerenza con il testo costituzionale, se le parole della sentenza e il testo dell'articolo 2 della Costituzione giungono con un contenuto di verità solo ad una minoranza di associazioni, come la nostra, che da anni si batte, con successi modestissimi e un ascolto presso le istituzioni pari a zero, per impedire che i drammi degli sfratti e degli sgomberi si compiano. Sono anni che andiamo dicendo che c'è un bisogno abitativo insoddisfatto e che il diritto all'abitare di centinaia di persone e famiglie è nella pratica negato. Sono anni che affermiamo con nostre parole che “alla sfera dei beni primari collegati alla personalità, deve essere compreso il diritto all'abitazione in quanto l'esigenza di un alloggio rientra fra i bisogni primari della persona».

Meglio che tacessero i giudici dunque ? No hanno fatto bene a parlare, come ha fatto la cosa giusta la donna romana che ha occupato una casa popolare accollandosi insieme al disagio abitativo gli effetti di una denuncia penale, come ha fatto bene il sindaco del Municipio X di Roma che ha requisito un edificio vuoto da anni per dare una risposta alle famiglie in emergenza abitativa. Occupare non è reato, requisire non è reato dunque, in questa occasione lo dichiariamo in buona compagnia.

Ma sono le “buone azioni civiche” della donna romana e delle associazioni che l'hanno accompagnata nonché del sindaco della X circoscrizione, sono queste “buone azioni civiche” moltiplicate per 100 e per 1000 che possono togliere alle parole dei giudici il surreale che adesso comunicano.

Ci tornano in mente alcune vicende cittadine, che consideriamo da manuale di quel che accade in realtà e che qui vogliamo appena ricordare soprattutto per rispetto delle persone in carne ed ossa che le hanno vissute e per le persone che ancora le vivranno se le cose restano come sono.

L'occupazione degli alloggi dell'inpdap di corso Alessandria nel 2003, ancora di proprietà pubblica, vuoti da anni, per i quali avevamo chiesto la requisizione, requisizione ovviamente negata dagli stessi amministratori che proprio nello stesso momento non battevano ciglio sull'avvio delle cartolarizzazioni. Una occupazione accerchiata e contrastata con tutti i mezzi, pratici e di giudizio; prefetto e forza pubblica mobilitati contro cittadini che “non rispettano le regole e il diritto di proprietà”, taglio delle utenze della luce e del gas, e infine alloggi murati e persone disperse salvo alcune costrette a competere l'assegnazione di un alloggio popolare con centinaia di altre persone e famiglie il cui bisogno abitativo era certificato da anni in graduatorie inesauribili.

L'intervento ammazza famiglie dell'assessorato ai Servizi Sociali ogni volta che a sfratto già avvenuto o a sgombero già eseguito, la soluzione del problema non fosse a portata di mano, per mancanza di alloggi popolari disponibili ma più ancora per l'assoluta incapacità degli operatori di vedere, al di là delle norme, la complessità e l'insostenibilità di certe situazioni.

Due casi in particolare vogliamo ricordare, in cui un problema abitativo è stato trasformato inopinatamente in un problema di relazione, in cui un bisogno abitativo insoddisfatto è stato trasformato in una incapacità di gestire una “normale” vita familiare. Due casi ancora aperti e con famiglie divise e disperse in improbabili centri di accoglienza. Due famiglie che, per diverse ragioni, non hanno saputo o potuto adeguarsi agli standard richiesti vale a dire: se sei povero è colpa tua, se sei povero devi essere “meritevole” delle opportunità che ti offriamo, ma soprattutto se pensi di essere il titolare di un diritto esigibile scordatelo e affronta in silenzio e solitudine il tuo malessere, l'asprezza del mercato, la precarietà dei tuoi redditi. Molti drammi infatti si sono consumati e il disagio abitativo si è in gran parte rinchiuso su se stesso, nei mutui da pagare, nelle coabitazioni e nei sovraffollamenti nell'attesa di una casa popolare sempre più lontana, in graduatorie che non si esauriscono mai.

Ceti deboli li chiamano, a conferma di una debolezza che lor signori vorrebbero fosse perpetuata. Dovranno prendere i forconi per ritrovarsi cittadini, ceti popolari consapevoli dei loro diritti. Noi stiamo lavorando per questo esito e solo così, nella nostra azione, le parole dei giudici della Cassazione, perdono il loro carattere surreale.



I volontari del Coordinamento Asti-Est

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