Alcuni
militanti del Coordinamento, incluso chi scrive, insieme a dodici
famiglie sfrattate senza alternativa abitativa, hanno “occupato”
nel lontano 2010, l’edificio della ex mutua di via Orfanotrofio.
L'idea di fare un uso sociale di un edificio di proprietà pubblica,
vuoto da quattro anni, è stata realizzata, scontando denunce e
processi (ancora aperti), al prezzo di un rapporto mai risolto con i
direttori dell’Asl e con i sindaci della città. Un rapporto che
questi ultimi hanno sempre tento sull’orlo di una drammatizzazione.
Un dispositivo di controllo, a ben vedere. Cosi sono venute le
ordinanze di sgombero non eseguite ma brandite come una clava, le
residenze prima negate poi concesse, l’accesso ai servizi sempre
negoziato (in ultimo negato quello all’energia elettrica), la
sistematica e strumentale confusione tra aspetti sociali e aspetti
giudiziari della “occupazione”.
giovedì 22 dicembre 2016
venerdì 18 novembre 2016
CHE FARE, PER DARE UNA RAGIONE ALL'INQUIETUDINE.
Va
detto che nello scenario sociale e politico delle città
medio-grandi, non c'è alcun segno che mostri un venir meno della
cosiddetta “emergenza abitativa”. A prescindere dalle
analisi degli osservatori e dei soggetti sociali coinvolti, a
prescindere dalle potenzialità politiche del “movimento”, il
report periodico del Ministero degli Interni nonché i dati forniti
dalla locale Prefettura, mostrano che lo stillicidio degli sfratti
per morosità non si è fermato ma continua, con variazioni di
intensità, su tutto il territorio nazionale. Siamo dunque di fronte
ad un bisogno abitativo sempre più insoddisfatto. Dunque il problema
sociale in sé permane, semmai è diventato meno trasparente perché
il malessere che lo accompagna, sempre più costretto nella
dimensione privata, si risolve o si trasferisce lungo canali sociali
al momento difficilmente esplorabili. Due sono le cause, come
vedremo più da vicino, che hanno determinato questo stato di cose.
La sterilità politica del “movimento” e le politiche
filantropiche e di riduzione del danno, così estese e
istituzionalizzate (enti pubblici e il cosiddetto privato-sociale) da
funzionare, nei confronti della parte di popolazione “fuori
mercato” (ma non per questo esclusa dalle pratiche predatore del
capitale finanziario), come un dispositivo di assoggettamento.
Non c'è dunque nulla di pacificato, soprattutto perché le cause
strutturali dell'emergenza non sono rimosse e rimandano, come in un
caleidoscopio, agli altri aspetti della presente “crisi”, ben
radicati nelle contraddizioni del mercato e del capitale finanziario:
la precarietà dei redditi e, nelle realtà urbane, un
assetto della proprietà immobiliare incompatibile con l'esercizio
dei più elementari diritti di cittadinanza. La realtà è sempre
più quella riassunta nello slogan “famiglie senza casa e case
senza famiglie”. Addosso a questa realtà urbana e in assenza di
conflitti politicamente forti, si sviluppano altre pratiche
mercantili, variamente localizzate e definite - la gentrificazione,
la monocultura, i quartieri fortezza, il social housing - che
orientano lo scenario urbano secondo le dinamiche del profitto e
della rendita. Vale a dire, la città non è più di chi l'abita,
non è più il luogo che accredita diritti e si riconosce in una
comunità.
sabato 5 novembre 2016
CHI COMPRA CHI
Ancora
una volta i giornali annunciano un possibile acquirente dell'edificio
di via Orfanotrofio e ancora una volta la notizia è accompagnata
dall'assoluto silenzio sulla presenza nello stesso edificio da dodici
famiglie, che vi domiciliano da sei anni, dopo averlo “occupato”
perché sfrattate senza alternativa abitativa.
Nel
frattempo sono andate deserte due aste pubbliche, due sindaci hanno
fatto pervenire una ordinanza di sgombero ciascuno, l'associazione
che ha accompagnato le famiglie in questo percorso “fuori legge”
ha aperto quell'edificio all'interesse della città. Così, decine di
iniziative pubbliche condotte dal “collettivo della ex mutua” e
dal Coordinamento Asti-Est hanno provato ad accreditare un progetto
di recupero che tenesse insieme il diritto all'abitare delle famiglie
“occupanti”, il proposito di sottrarre alla speculazione
immobiliare un edificio di proprietà pubblica, l'idea di
ricongiungere la storia dello stesso edificio alla “casa dei
metallurgici” che era stato negli anni 20, prima che i fascisti
decidessero di sottrarlo a quell'uso.
Tutte
azioni che hanno mancato il loro scopo, non solo ignorate dagli enti
pubblici, in primis l'Assessorato ai Servizi Sociali e la Questura,
ma prese a pretesto per negare la legittimità della “occupazione”,
contenerla nel recinto di una legalità senza principi, ridotta a
puro riflesso d'ordine, impedire che le famiglie “occupanti”
fossero riconosciute, attorno a quel progetto, un interlocutore
collettivo, portatore di diritti di cittadinanza.
venerdì 30 settembre 2016
A PROPOSITO DI OCCUPAZIONI
Ci
auguriamo che l'articolo della giornalista della Nuova Provincia non
provochi solo riflessi d'ordine ma anche qualche utile riflessione,
che peraltro merita. La nostra è quella che segue.
Intanto
quel che si vede è importante ma qualche volta è più importante
quel che non si vede. In questo caso è l'incapacità del potere
pubblico di dare una risposta ad un gravissimo problema sociale. Le
occupazioni ad Asti sono quattro e non tutte sono “fuori controllo”
come quella di Corso Volta/Corso Casale, mentre le occupazioni sul
territorio nazionale sono centinaia e tutte insieme hanno come
protagonisti persone/famiglie con redditi precari e dunque espulse
dal mercato privato delle locazioni. Sono centinaia di migliaia di
persone/famiglie a cui è negato il diritto all'abitare.
Inoltre
questo mercato escludente è fermo e il recente riavvio annunciato
dai costruttori è legato alle disponibilità di reddito di un ceto
medio non ancora impoverito. Che quel mercato, nei tempo d'oro, fosse
largamente speculativo e fosse sostenuto con grande leggerezza dalle
banche, è un giudizio così condiviso da formare ormai una
letteratura. E le prove, evidentissime sono sotto gli occhi di tutti,
ad Asti come altrove. I due edifici di cui si parla ne sono un
luminoso esempio. Infatti su quelli le ipoteche maggiori sono delle
banche.
giovedì 29 settembre 2016
MINACCIA DI SGOMBERO
4 ottobre, ore 8,30, Salita al Fortino 30, la sorte di cinque famiglie, tutte con minori, potrebbe essere trascritta sulle carte dell'ufficiale giudiziario come “sgombero eseguito”. La via di uscita, proposta dall'assessorato, l'Agenzia Casa del Comune, risulta impraticabile per quelle di loro che non hanno redditi garantiti. Il dramma può essere evitato solo dalla presenza di numerosi testimoni. L'appuntamento, per chi ha ancora orecchio per i problemi sociali, è per le 8,30 di martedì 4 ottobre in salita al Fortino 30.
martedì 2 febbraio 2016
BENI COMUNI
DICHIARIAMO “BENI COMUNI” gli edifici “OCCUPATI”di via Orfanotrofio e di via Allende.
No ALLE PRIVATIZZAZIONI.
Dalla parte della Amministrazione, solo provvedimenti filantropici o
di riduzione del danno. Certo, è meglio di niente. Con l'Agenzia
Casa e soldi pubblici, qualche contratto di locazione è stato
rimesso provvisoriamente in carreggiata, inquilini e padroni di casa
hanno potuto tirare un sospiro di sollievo. E poi ? Se gli inquilini
non mutano la loro condizione sociale, se gli sfratti non si
arrestano (o si bloccano), se non muta il contesto sociale, dopo
qualche mese tutto è come prima, anzi peggio di prima.
In questo modo, aspettando e
ubbidendo (alle politiche dell'austerità), una
emergenza permanente, viene fatta funzionare come dispositivo di
controllo di un conflitto sociale temuto ma ancora solo annunciato.
E' quel che basta per evitare che l'ordine delle cose presente sia
messo in discussione. Dunque da parte della Amministrazione, nessuna
intenzione di sottrarre al mercato e alla speculazione immobiliare i
beni immobili di proprietà pubblica o di enti pubblici; nessuna
intenzione di ricondurre ad un uso sociale gli edifici vuoti di
proprietà delle immobiliari e delle banche.
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