venerdì 30 settembre 2016

A PROPOSITO DI OCCUPAZIONI


Ci auguriamo che l'articolo della giornalista della Nuova Provincia non provochi solo riflessi d'ordine ma anche qualche utile riflessione, che peraltro merita. La nostra è quella che segue.
Intanto quel che si vede è importante ma qualche volta è più importante quel che non si vede. In questo caso è l'incapacità del potere pubblico di dare una risposta ad un gravissimo problema sociale. Le occupazioni ad Asti sono quattro e non tutte sono “fuori controllo” come quella di Corso Volta/Corso Casale, mentre le occupazioni sul territorio nazionale sono centinaia e tutte insieme hanno come protagonisti persone/famiglie con redditi precari e dunque espulse dal mercato privato delle locazioni. Sono centinaia di migliaia di persone/famiglie a cui è negato il diritto all'abitare.
Inoltre questo mercato escludente è fermo e il recente riavvio annunciato dai costruttori è legato alle disponibilità di reddito di un ceto medio non ancora impoverito. Che quel mercato, nei tempo d'oro, fosse largamente speculativo e fosse sostenuto con grande leggerezza dalle banche, è un giudizio così condiviso da formare ormai una letteratura. E le prove, evidentissime sono sotto gli occhi di tutti, ad Asti come altrove. I due edifici di cui si parla ne sono un luminoso esempio. Infatti su quelli le ipoteche maggiori sono delle banche.

 
Se le cose stanno così, è un pretesto affermare che quegli edifici non si vendono perché sono occupati. Non si vendono perché, rimessi sul mercato, con quelle caratteristiche popolari, rimarrebbero vuoti, esattamente come quelli appena costruiti del Social Housing di Piazza d'armi. In più nel 2014 è stata approvata una legge che mentre finanzia quella formula in inglese, pone fine alla edilizia residenziale pubblica e “criminalizza la povertà” (Paolo Berdini, assessore all'urbanistica della giunta Raggi a proposito dell'art.5 della stessa legge, che vieta di riconoscere la residenza a chi “occupa” e vieta l'allacciamento dei servizi alle case “occupate”). Insomma un muro di case vuote, un patrimonio pubblico a svendere, per perpetuare l'emergenza abitativa.
Certo, quel che si vede è anche il segno di un fallimento, in questo caso del Coordinamento Asti-Est e più in generale l'esito politicamente sterile delle migliaia di azioni del movimento di lotta per la casa. In questo fallimento c'è la perdita di senso di quelle azioni. L'esercizio di un diritto a fondamento costituzionale, iniziato con un atto di disobbedienza civile, una somma di responsabilità assunte pubblicamente, il buon uso degli edifici occupati e infine l'occasione per mettere in agenda uno statuto della proprietà, sottratto agli interessi del partito del mattone. Questo era il senso di quelle azioni.
L'illusione che noi, militanti del Coordinamento, abbiamo coltivato è che questo senso potesse in qualche modo essere riconosciuto dal potere pubblico e dalla parte meno omologata della popolazione della città. Invece, non solo non è stato riconosciuto ma è stato sistematicamente corrotto e svilito erigendo attorno a quelle esperienze, le occupazioni, un recinto di illegalità, opponendo alla legittimità di un diritto, la legalità burocratica di leggi e norme, riducendo sessanta famiglie, centinaia di persone in carne ed ossa, alla fredda categoria sociologica degli “occupanti senza titolo”.
Ora quelle famiglie tentano di uscire da quel recinto con comportamenti, quelli descritti dalla giornalista, che sono conformi alla cultura dominante, “ognuno per se e dio per tutti”. Perché stupirsi e perché menare scandalo. Noi ci auguriamo che quel recinto di illegalità sia rotto, a cominciare dagli edifici di proprietà pubblica, e che gli “occupanti”, finalmente riconosciuti come cittadini, siano chiamati a condividere regole e progetti. Gli strumenti per fare il primo passo ci sono, la requisizione temporanea, il comodato d'uso. In molte città se ne parla, in molte città si prendono provvedimenti conseguenti.
Michele Clemente, Carlo Sottile
Asti 28/09/16

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