martedì 2 febbraio 2016

BENI COMUNI


DICHIARIAMO “BENI COMUNI” gli edifici “OCCUPATI”di via Orfanotrofio e di via Allende.
No ALLE PRIVATIZZAZIONI.
Dalla parte della Amministrazione, solo provvedimenti filantropici o di riduzione del danno. Certo, è meglio di niente. Con l'Agenzia Casa e soldi pubblici, qualche contratto di locazione è stato rimesso provvisoriamente in carreggiata, inquilini e padroni di casa hanno potuto tirare un sospiro di sollievo. E poi ? Se gli inquilini non mutano la loro condizione sociale, se gli sfratti non si arrestano (o si bloccano), se non muta il contesto sociale, dopo qualche mese tutto è come prima, anzi peggio di prima.
In questo modo, aspettando e ubbidendo (alle politiche dell'austerità), una emergenza permanente, viene fatta funzionare come dispositivo di controllo di un conflitto sociale temuto ma ancora solo annunciato. E' quel che basta per evitare che l'ordine delle cose presente sia messo in discussione. Dunque da parte della Amministrazione, nessuna intenzione di sottrarre al mercato e alla speculazione immobiliare i beni immobili di proprietà pubblica o di enti pubblici; nessuna intenzione di ricondurre ad un uso sociale gli edifici vuoti di proprietà delle immobiliari e delle banche. 

 
Valga un esempio per tutti, gli edifici dismessi dall'Asl. Bandi di vendita andati a vuoto, offerte di vendita al minuto, senza particolari vincoli urbanistici, cadute. In ultimo, un dichiarato motivo di interesse all'acquisto dell'edificio di via Orfanotrofio sfumato nel nulla. Nonostante fosse stato garantito all'imprenditore l'anonimato e alla sua impresa la riservatezza. Vale a dire, urbanistica contrattata a gogo, quella che ha devastato il territorio, alla faccia della trasparenza e degli impegni elettorali.
Intanto nella attesa che il “mercato immobiliare si rimetta in moto”, c'è un patrimonio immobiliare, peraltro censito dalla stessa amministrazione, abbandonato all'incuria, vuoto o destinato a fare da sottostante di titoli tossici o in sofferenza. Intanto quel poco di attività che le imprese edilizie riescono a muovere, mentre è destinato a soddisfare i bisogni abitativi dei ceti medio-alti, ratifica una disuguaglianza già adesso socialmente insostenibile. Insomma case per i ricchi e topaie per i poveri.
In più e in peggio, quel che resta dell'edilizia residenziale pubblica, con un patrimonio già abbondantemente rottamato dal blocco delle manutenzioni, dagli scandali e dalle vendite, non è più in grado di dare risposte significative ad un bisogno abitativo sempre più insoddisfatto. Per la prima volta verrà aperto un bando (maggio 2016) per le case popolari senza disporne di alcuna e con una legge la “Lupi/Renzi sulla casa” (decreto-legge n. 47 del 28 marzo 2014), recentemente approvata che, mentre predispone la fine dell'edilizia residenziale pubblica, criminalizza le famiglie “occupanti” negandone la residenza anagrafica e privandole dell'allacciamento alle utenze (art.5 di detta legge).
In questa situazione, a sei anni dalle prime occupazioni, che in Asti sono quattro e danno domicilio ad una sessantina di famiglie sfrattate, il Coordinamento Ast-Est, le famiglie occupanti e sotto sfratto dichiarano l'appartenenza alla categoria dei “beni comuni” degli edifici occupati di via Orfanotrofio e di via Allende, sentendosi legittimati nella loro decisione

  1. dalla insipienza per non dire stupidità dell'amministrazione,
  2. dalla funzione sociale che quegli edifici hanno assunto nel corso di sei anni di occupazione

Quegli edifici, sottratti all'abbandono, e alla speculazione immobiliare, hanno garantito alle famiglie occupanti l'esercizio dei diritti della persona, quelli che l'art.3 della Costituzione impone di tutelare. In quegli edifici è stata ricostruita una domicilarità altrimenti negata per ragioni di mercato; vi sono nati dei bambini e gli “occupanti” vi tornano ogni sera, chi dalla scuola, chi dal lavoro o dalla disperata ricerca dello stesso, per ricomporre attorno ad un tavolo gli affetti familiari. In quegli edifici si è sviluppato quel grumo primario di relazioni sociali che non può essere mercificato senza essere distrutto.
E' proprio questa esperienza che ha attribuito di fatto a quegli edifici la valenza dei beni comuni, vale a dire beni non alienabili, che si distinguono degli altri, di proprietà pubblica o privata, per la loro funzione sociale, per il rapporto diretto che hanno con i diritti fondamentali della persona.
L'amministrazione ha avuto sei anni per far uscire quella esperienza dal recinto della illegalità. Invece ha rafforzato quel recinto con atti ostili (agli sportelli degli enti gli “occupanti” fanno sempre eccezione, per loro si devono sempre inventare nuove procedure). Ha avuto sei anni per cogliere la legittimità di quella esperienza, per farne un momento di condivisione anziché di esclusione; poteva farlo con un provvedimento di requisizione e, soprattutto, riconoscendo nel collettivo degli occupanti un soggetto sociale in grado di agire con responsabilità ed autonomia. L'amministrazione invece ha fatto di tutto affinché ogni “occupante” restasse in solitudine, cittadino privato del suo status, solo e sempre destinatario di provvedimenti altrui.

Coordinamento Asti-Est
FAMIGLIE OCCUPANTI
FAMIGLIE SOTTO SFRATTO (ciclinpropviamonti62asti28gennaio2016)

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