DICHIARIAMO “BENI COMUNI” gli edifici “OCCUPATI”di via Orfanotrofio e di via Allende.
No ALLE PRIVATIZZAZIONI.
Dalla parte della Amministrazione, solo provvedimenti filantropici o
di riduzione del danno. Certo, è meglio di niente. Con l'Agenzia
Casa e soldi pubblici, qualche contratto di locazione è stato
rimesso provvisoriamente in carreggiata, inquilini e padroni di casa
hanno potuto tirare un sospiro di sollievo. E poi ? Se gli inquilini
non mutano la loro condizione sociale, se gli sfratti non si
arrestano (o si bloccano), se non muta il contesto sociale, dopo
qualche mese tutto è come prima, anzi peggio di prima.
In questo modo, aspettando e
ubbidendo (alle politiche dell'austerità), una
emergenza permanente, viene fatta funzionare come dispositivo di
controllo di un conflitto sociale temuto ma ancora solo annunciato.
E' quel che basta per evitare che l'ordine delle cose presente sia
messo in discussione. Dunque da parte della Amministrazione, nessuna
intenzione di sottrarre al mercato e alla speculazione immobiliare i
beni immobili di proprietà pubblica o di enti pubblici; nessuna
intenzione di ricondurre ad un uso sociale gli edifici vuoti di
proprietà delle immobiliari e delle banche.
Valga un esempio per tutti, gli edifici dismessi dall'Asl. Bandi di
vendita andati a vuoto, offerte di vendita al minuto, senza
particolari vincoli urbanistici, cadute. In ultimo, un dichiarato
motivo di interesse all'acquisto dell'edificio di via Orfanotrofio
sfumato nel nulla. Nonostante fosse stato garantito all'imprenditore
l'anonimato e alla sua impresa la riservatezza. Vale a dire,
urbanistica contrattata a gogo, quella che ha devastato il
territorio, alla faccia della trasparenza e degli impegni elettorali.
Intanto nella attesa che il “mercato immobiliare si rimetta in
moto”, c'è un patrimonio immobiliare, peraltro censito dalla
stessa amministrazione, abbandonato all'incuria, vuoto o destinato
a fare da sottostante di titoli tossici o in sofferenza.
Intanto quel poco di attività che le imprese edilizie riescono a
muovere, mentre è destinato a soddisfare i bisogni abitativi dei
ceti medio-alti, ratifica una disuguaglianza già adesso socialmente
insostenibile. Insomma case per i ricchi e topaie per i poveri.
In più e in peggio, quel che resta dell'edilizia residenziale
pubblica, con un patrimonio già abbondantemente rottamato dal blocco
delle manutenzioni, dagli scandali e dalle vendite, non è più in
grado di dare risposte significative ad un bisogno abitativo sempre
più insoddisfatto. Per la prima volta verrà aperto
un bando (maggio 2016)
per le case popolari senza disporne di alcuna e con una legge la
“Lupi/Renzi sulla casa” (decreto-legge
n. 47 del 28 marzo 2014),
recentemente approvata che, mentre predispone la fine
dell'edilizia residenziale pubblica, criminalizza le famiglie
“occupanti” negandone la residenza anagrafica e privandole
dell'allacciamento alle utenze (art.5 di detta legge).
In questa situazione, a sei anni dalle prime occupazioni, che in Asti
sono quattro e danno domicilio ad una sessantina di famiglie
sfrattate, il Coordinamento Ast-Est, le famiglie occupanti e sotto
sfratto dichiarano l'appartenenza alla categoria dei “beni
comuni” degli edifici occupati di via Orfanotrofio e di via
Allende, sentendosi legittimati nella loro decisione
-
dalla insipienza per non dire stupidità dell'amministrazione,
-
dalla funzione sociale che quegli edifici hanno assunto nel corso di sei anni di occupazione
Quegli edifici, sottratti all'abbandono, e alla speculazione
immobiliare, hanno garantito alle famiglie occupanti l'esercizio
dei diritti della persona, quelli che l'art.3 della Costituzione
impone di tutelare. In quegli edifici è stata ricostruita una
domicilarità altrimenti negata per ragioni di mercato; vi sono nati
dei bambini e gli “occupanti” vi tornano ogni sera, chi dalla
scuola, chi dal lavoro o dalla disperata ricerca dello stesso, per
ricomporre attorno ad un tavolo gli affetti familiari. In quegli
edifici si è sviluppato quel grumo primario di relazioni sociali
che non può essere mercificato senza essere distrutto.
E' proprio questa esperienza che ha attribuito di fatto a quegli
edifici la valenza dei beni comuni, vale a dire beni non alienabili,
che si distinguono degli altri, di proprietà pubblica o privata, per
la loro funzione sociale, per il rapporto diretto che hanno con i
diritti fondamentali della persona.
L'amministrazione ha avuto sei anni per far uscire quella esperienza
dal recinto della illegalità. Invece ha rafforzato quel
recinto con atti ostili (agli sportelli degli enti gli “occupanti”
fanno sempre eccezione, per loro si devono sempre inventare nuove
procedure). Ha avuto sei anni per cogliere la legittimità di
quella esperienza, per farne un momento di condivisione anziché
di esclusione; poteva farlo con un provvedimento di requisizione e,
soprattutto, riconoscendo nel collettivo degli occupanti un
soggetto sociale in grado di agire con responsabilità ed
autonomia. L'amministrazione invece ha fatto di tutto affinché ogni
“occupante” restasse in solitudine, cittadino privato del suo
status, solo e sempre destinatario di provvedimenti altrui.
Coordinamento
Asti-Est
FAMIGLIE
OCCUPANTI
FAMIGLIE
SOTTO SFRATTO (ciclinpropviamonti62asti28gennaio2016)
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