La manifestazione è
stata esattamente come la volevamo, come l'abbiamo costruita sui
territori, con i gruppi affidati alla responsabilità e
all'autotutela dei singoli, con l'esplicita intenzione di evitare a
Roma il replay del 18 ottobre dell'anno scorso e soprattutto con la
consapevolezza di dover costruire un evento, inedito nella storia
recente dei movimenti, che moltiplicasse nella forma della
manifestazione nazionale, la forza degli argomenti e delle azioni che
negli ultimi anni abbiamo dispiegato sui territori. Forza simbolica e
mediatica, come si è visto subito, domenica mattina, con il luogo
dell'assedio frequentatissimo da giornalisti e il martedì
successivo con l'incontro ministeriale su tutte le reti e poi ancora
lo spazio televisivo dato all'evento e alla parola dei militanti.
La “sollevazione”
di tutto ciò appunto, senza guide o strutture sovraordinate, senza
capi e rappresentanti, come hanno sottolineato i militanti
intervenuti nell'assemblea del 20 a porta Pia. Circostanza che da
sola ha rivelato lo “spirito della cosa”, di natura ontologica
direbbe il nostro Werther, e che alcuni commentatori hanno a loro
volta sottolineato. Ma su questo punto il discorso andrà
approfondito anche tra noi, che siamo razionali “in campo aperto”.
Aperto ai sentimenti e alla creatività, ma “spontaneisti”, come
si diceva una volta, non lo siamo mai e quando ci sforziamo di dare
senso alle cose. Allora ci accorgiamo che alcuni di noi hanno più
argomenti, o diversi, di altri e forse ne vien fuori l'immagine di
intellettuali di “nuovo conio”, cioè fuori dall'accademia, dal
conformismo, che dicono parole assolutamente organiche ai fatti di
cui sono, insieme a tutti gli altri, protagonisti. Insomma,
parliamone.
Ma tornando ai
commentatori dei media nazionali, abbiamo osservato come alcuni
abbiano dato il cessato allarme, dopo averlo suonato a tutta forza
nelle settimane precedenti, mettendosi in sintonia con le
dichiarazioni di Alfano di elogio della forza pubblica, mentre altri
vi hanno insistito, pur con qualche se e ma per rendere il racconto
un po meno lontano al vero. Un quadro dell'informazione mainstream
alquanto desolante. La divisione in buoni e cattivi, il timore di un
replay del 18 ottobre, il dubbio fino all'incredulità che un
conflitto sociale si potesse manifestare in quella forma. Un
sistematico lavoro di mistificazione portato avanti anche da settori
di intellettualità, normalmente vicini ai movimenti, che hanno
finito per confermare, più o meno involontariamente, la tesi che
nessuna alternativa è possibile, che le contraddizioni che mostra
questo modello sociale, volendo restare uguale se stesso, sono
insuperabili, insomma una mano ai fautori delle politiche della
austerità. Quel che si dice “dico una cosa e ne penso un'altra”.
La “sollevazione”
ha spazzato via questa lettura dei fatti, almeno tra una opinione
pubblica e una cittadinanza attiva non estranea alle ragioni e alle
dinamiche di questo movimento. Ha mostrato una comunità che viene,
nel senso che si annuncia in carne ed ossa e sentimenti, senza
restrizioni. Un soggetto sociale multitudinario con i segni della
città “moderna”, il confine tra ricchezza e povertà, tra ciò
che è conforme e ciò che non lo è, tra un diritto della possidenza
ormai esausto e un diritto alla città declinato nelle forme della
riappropriazione del maltolto, essendo la creatività e l'umanità
tutta da questa parte.
La “sollevazione”
ha annunciato un soggetto politico senza gli orpelli e i fantasmi
della cultura degli epigoni della terza internazionale, che appare
tanto più ricco di potenzialità di quello evocato in diverse forme,
da laboratori vari e da partitini senza nessun appeal. In questo
contesto, le scaramucce con le forze dell'ordine, messe a guardia di
palazzi vuoti, il simbolo di un potere senza volto e umane ragioni,
hanno avuto il carattere dei fatti a margine, inevitabili. Ma anche
quelle, agite con fuochi e botti d'artifizio da una parte e accenni
di cariche dall'altra, hanno concorso nel seguito degli avvenimenti a
rafforzare il senso vero della manifestazione del 19 ottobre.
La scarcerazione dei
giovani arrestati ordinata dal gip e il racconto dei valsusini in
televisione - come si fa sabotaggio con la tranquilla coscienza di
chi fa la cosa giusta - sono serviti a smascherare l'ipocrisia,
ormai grottesca, di chi piange una vetrina di banca rotta o una pala
meccanica resa inefficiente, rimanendo indifferente alle violenze che
questo sistema delle merci in crisi rovescia sulle persone, le
famiglie e le comunità. Dalle vittime di un industrialismo
seminatore di veleni, alle ferite inflitte in mille forme ai
lavoratori privati dei diritti costituzionali, ai respingimenti che
distillano la loro natura disumana in tragedie come quelle recenti di
Lampedusa, insomma, tutto ciò che accade lasciando al “mercato”
il compito di tracciare i margini della vita civile.
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