sabato 28 luglio 2012

DIRITTO ALLA VITA E DIRITTO ALLA PROPRIETÀ


Merita qualche commento la sentenza del giudice che ordinando lo sgombero ha negato lo “stato di necessità” delle famiglie. In questo periodo di crisi, in cui le cose mutano facilmente di senso, nulla va dato per scontato, tanto meno la sentenza di un giudice. L'indipendenza della magistratura è tanto più apprezzata dagli stessi giudici (che sono uomini in carne ed ossa che vivono nel loro tempo) quanto più sono valutati e discussi i loro atti. A dispetto del loro linguaggio specialistico, il cui abuso è solo un segno di casta e di potere, la loro funzione è pubblica e i loro atti sono atti pubblici, diversamente la legge non sarebbe uguale per tutti.

Il confronto tra i due testi (quello del giudice che ha riconosciuto lo “stato di necessità” in via Allende e quello che vogliamo commentare) mostra delle differenze, sia nel sottolineare questa o quella fonte (di diritto e di testimonianza) sia nei riferimenti alle leggi, alle Carte che le ispirano, alla giurisdizione.
Per quanto riguarda le fonti di testimonianza, per esempio i testi dell'ordinanza di sgombero del sindaco e del sopralluogo effettuato dai vigili del fuoco, che vengono dal giudice ampiamente riferiti per confermare la tesi del rischio di incolumità fisica che graverebbe tuttora sulle persone li dimoranti, l'osservazione che alcuni di noi fanno è che tali fonti avrebbero avuto un minor peso nella sentenza (compresa la valutazione sullo “stato di necessità”) solo che i nostri avvocati avessero provveduto a richiedere al giudice, in fase di istruttoria, un supplemento di indagine sulle condizioni abitative in via Orfanotrofio.
Per quanto riguarda invece le fonti di diritto, ed in particolare la condizione (o scriminante) dello “stato di necessità” è sufficiente una breve ricerca in internet per sapere che dell'articolo 54 del codice penale, il cui secondo comma prevede la non punibilità del reato di invasione di edificio (art.33 del c.p.) quando l'imputato vi è costretto, suo malgrado, dalla necessità di “salvare sé od altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona”, esistono due letture ispirate a due diverse sentenze della Corte Cassazione. Di queste, una (nr. 7183 del 17 gennaio 2008; quella che noi citiamo spesso) è “più orientata costituzionalmente” dell'altra (nr. 9265 del 9 marzo 2012) nel senso che, citiamo letteralmente come ha fatto il giudice di via Allende Ai fini della sussistenza dell'esimente dello stato di necessità, nel concetto di “danno grave alla persona” entrano non solo le lesioni della vita e dell'integrità fisica, ma anche quelle situazioni che attentano alla sfera dei diritti fondamentali della persona, riconosciuti e garantiti dall'art.2 della Costituzione, tra le quali rientra il diritto all'abitazione, l'operatività dell'esimente presuppone, peraltro, gli ulteriori elementi costitutivi dell'assoluta necessità della condotta e dell'inevitabilità del pericolo.)
Come dovrebbe risultare evidente, non si tratta solo di una sottile questione di giurisdizione. Il confronto tra i due testi dei due giudici (a questo punto possiamo distinguere tra uno progressista e uno conservatore) rimanda ad un secolare confronto di culture, di modelli di società e di convivenza, nel quale oggi siamo a motivo della crisi in corso pesantemente coinvolti. Se il diritto alla vita debba prevalere sul diritto di proprietà è un interrogativo che ha attraversato tutta l'epoca moderna, dopo che, nel medioevo, i dottori della chiesa non avevano riconosciuto alcuna origine naturale al diritto di proprietà e dopo che Tommaso d'Aquino, pur legittimandone l'esercizio, le poneva un limite in tutti i beni necessari alla vita delle persone; beni di cui ognuno doveva poter disporre, sottraendoli se necessario anche alla proprietà altrui.
Solo con l'avvento della borghesia il diritto di proprietà viene affermato come diritto naturale e dunque inalienabile, della persona ed inizia a confliggere con il diritto alla vita. La storia che è seguita, di antagonismi sociali e di regimi costituzionali, di affermazioni più o meno perentorie del diritto alla vita o del diritto di proprietà è ancora storia di questi giorni, dopo la recinzione delle terre, le rivoluzioni francese e americana, la Comune, la Rivoluzione di Ottobre. Il dominio del capitale finanziario sulla sovranità delle nazioni e sul diritto dei popoli è la forma moderna di questo conflitto. Nel “movimento” di cui facciamo parte e nella cultura che stiamo approssimando (della democrazia partecipata, dei beni comuni, della solidarietà e della cooperazione) ci sono tutte le ragioni del diritto alla vita, tutte le ragioni per rimettere dei limiti al diritto di proprietà.
Gli atti a vocazione costituzionale sono un modo per attualizzare la nostra Costituzione repubblicana, per toglierla dal limbo delle celebrazioni, per farla rivivere dopo che è stata cancellata nei rapporti sociali reali. Agli articoli 2 e 3 afferma i diritti sociali e della persona e impone di tutelarli, e agli art. 42 e 43 limita la proprietà privata alla sua funzione sociale e autorizza forme di socializzazione di beni o servizi o imprese di interesse generale.

Nessun commento:

Posta un commento

  FONDO DI RESISTENZA   con i pregiudicati della ex Mutua SOMMA VERSATA A TUTT'OGGI     7300 e...