Merita
qualche commento la sentenza del giudice che ordinando lo sgombero ha
negato lo “stato di necessità” delle famiglie. In questo periodo
di crisi, in cui le cose mutano facilmente di senso, nulla va dato
per scontato, tanto meno la sentenza di un giudice. L'indipendenza
della magistratura è tanto più apprezzata dagli stessi giudici (che
sono uomini in carne ed ossa che vivono nel loro tempo) quanto più
sono valutati e discussi i loro atti. A dispetto del loro linguaggio
specialistico, il cui abuso è solo un segno di casta e di potere, la
loro funzione è pubblica e i loro atti sono atti pubblici,
diversamente la legge non sarebbe uguale per tutti.
Il
confronto tra i due testi (quello del giudice che ha riconosciuto lo
“stato di necessità” in via Allende e quello che vogliamo
commentare) mostra delle differenze, sia nel sottolineare questa o
quella fonte (di diritto e di testimonianza) sia nei riferimenti alle
leggi, alle Carte che le ispirano, alla giurisdizione.
Per
quanto riguarda le fonti di testimonianza, per esempio i testi
dell'ordinanza di sgombero del sindaco e del sopralluogo effettuato
dai vigili del fuoco, che vengono dal giudice ampiamente riferiti per
confermare la tesi del rischio di incolumità fisica che graverebbe
tuttora sulle persone li dimoranti, l'osservazione che alcuni di noi
fanno è che tali fonti avrebbero avuto un minor peso nella sentenza
(compresa la valutazione sullo “stato di necessità”) solo che i
nostri avvocati avessero provveduto a richiedere al giudice, in fase
di istruttoria, un supplemento di indagine sulle condizioni abitative
in via Orfanotrofio.
Per
quanto riguarda invece le fonti di diritto, ed in particolare la
condizione (o scriminante) dello “stato di necessità” è
sufficiente una breve ricerca in internet per sapere che
dell'articolo 54 del codice penale, il cui secondo comma prevede la
non punibilità del reato di invasione di edificio (art.33 del c.p.)
quando l'imputato vi è costretto, suo malgrado, dalla necessità di
“salvare sé od altri dal pericolo attuale di un danno grave
alla persona”, esistono due letture ispirate a due diverse
sentenze della Corte Cassazione. Di queste, una (nr. 7183 del 17
gennaio 2008; quella che noi citiamo spesso) è “più orientata
costituzionalmente” dell'altra (nr. 9265 del 9 marzo 2012) nel
senso che, citiamo letteralmente come ha fatto il giudice di via
Allende “Ai fini della sussistenza
dell'esimente dello stato di necessità, nel concetto di “danno
grave alla persona” entrano non solo le lesioni della vita e
dell'integrità fisica, ma anche quelle situazioni che attentano alla
sfera dei diritti fondamentali della persona, riconosciuti e
garantiti dall'art.2 della Costituzione, tra le quali rientra il
diritto all'abitazione, l'operatività dell'esimente presuppone,
peraltro, gli ulteriori elementi costitutivi dell'assoluta necessità
della condotta e dell'inevitabilità del pericolo.)
Come
dovrebbe risultare evidente, non si tratta solo di una sottile
questione di giurisdizione. Il confronto tra i due testi dei due
giudici (a questo punto possiamo distinguere tra uno progressista e
uno conservatore) rimanda ad un secolare confronto di culture, di
modelli di società e di convivenza, nel quale oggi siamo a motivo
della crisi in corso pesantemente coinvolti. Se il diritto alla vita
debba prevalere sul diritto di proprietà è un interrogativo che ha
attraversato tutta l'epoca moderna, dopo che, nel medioevo, i dottori
della chiesa non avevano riconosciuto alcuna origine naturale al
diritto di proprietà e dopo che Tommaso d'Aquino, pur legittimandone
l'esercizio, le poneva un limite in tutti i beni necessari alla vita
delle persone; beni di cui ognuno doveva poter disporre, sottraendoli
se necessario anche alla proprietà altrui.
Solo
con l'avvento della borghesia il diritto di proprietà viene
affermato come diritto naturale e dunque inalienabile, della persona
ed inizia a confliggere con il diritto alla vita. La storia che è
seguita, di antagonismi sociali e di regimi costituzionali, di
affermazioni più o meno perentorie del diritto alla vita o del
diritto di proprietà è ancora storia di questi giorni, dopo la
recinzione delle terre, le rivoluzioni francese e americana, la
Comune, la Rivoluzione di Ottobre. Il dominio del capitale
finanziario sulla sovranità delle nazioni e sul diritto dei popoli è
la forma moderna di questo conflitto. Nel “movimento” di cui
facciamo parte e nella cultura che stiamo approssimando (della
democrazia partecipata, dei beni comuni, della solidarietà e della
cooperazione) ci sono tutte le ragioni del diritto alla vita, tutte
le ragioni per rimettere dei limiti al diritto di proprietà.
Gli
atti a vocazione costituzionale sono un modo per attualizzare la
nostra Costituzione repubblicana, per toglierla dal limbo delle
celebrazioni, per farla rivivere dopo che è stata cancellata nei
rapporti sociali reali. Agli articoli 2 e 3 afferma i diritti sociali
e della persona e impone di tutelarli, e agli art. 42 e 43 limita la
proprietà privata alla sua funzione sociale e autorizza forme di
socializzazione di beni o servizi o imprese di interesse generale.
Nessun commento:
Posta un commento