Il corteo di ieri si è
discostato visibilmente, nel linguaggio e nelle forme della
partecipazione, dai soliti cortei. Uno sciame di persone, non
attraversato da principi d'ordine, soprattutto gioioso. Le tematiche
esplicite, quelle rintracciabili nei volantini e negli striscioni,
sono circolate senza uno specifico portatore, né individuale né
collettivo. Certo i “rottamai” c'erano, c'erano i giovani
precari, c'erano le famiglie, “occupanti e non”, ma nessuno di
loro appariva con il targhet della categoria sociale di appartenenza.
Due volantini, fitti di
argomenti, sono stati distribuiti in una sorta di occasionale
passamano, come se quella fin troppo tradizionale forma di
comunicazione costituisse un dettaglio trascurabile rispetto alla
comunicazione dei sentimenti, delle colonne sonore dei sound-system,
delle danze e delle performance dei gruppi in costume. Una bella
manifestazione, hanno detto in molti, durante e dopo il corteo. Una
bella festa. In molti si sono rammaricati di non avervi preso parte.
Una situazione
decisamente sfavorevole per chi sopravvaluta il potere della parola,
per chi legge il presente con le lenti del passato. La rivendicazione
del diritto al lavoro e alla casa è stata brevemente commentata, in
due punti del lungo percorso, come se fosse serenamente implicita e
scontata, come se la fiducia e la speranza in un mondo migliore non
avessero bisogno di dichiarazioni di uguaglianza e di giustizia
sociale, ma solo di azioni e sentimenti conseguenti. Rigorosamente
conseguenti, come una occupazione, come una festa in una casa
occupata o come un esproprio. Si esproprio, come quello deciso dal
governo della Andalusia, nei confronti delle banche che hanno
speculato con i mutui ipotecari.
Si è trattato di una
lezione di politica con la P maiuscola. Come tale non poteva che
essere tenuta nelle strade. Abbiamo visto l'approssimarsi di un “noi
vivente”, che si oppone all'individualismo proprietario e riscopre
la bellezza e la forza sociale della solidarietà e della
cooperazione. Un “noi vivente”, non un astratto collettivo, che
si assume la responsabilità di impedire che i diritti della persona
(quelli che l'art.3 della Costituzione impone di tutelare), siano
ulteriormente calpestati.
Una lezione di politica
da opporre al “politicamente corretto” della solitudine, dei
suicidi, delle azioni compassionevoli. Una lezione da moltiplicare
perché il “politicamente corretto” ormai tracima da televisioni
e gazzette varie, senza alternative, ad esclusivo beneficio dei
responsabili, se/dicenti risolutori, della presente crisi sociale.
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