Dopo un convivio
improvvisato in Piazza San Secondo, i presenti, volontari
dell'associazione e famiglie “occupanti”, striscioni e
scampoli d'urbanizzazione in sagome di cartone, queste ultime ben
visibili issate su canne palustri dai più volenterosi, hanno
raggiunto in corteo il luogo dell'appuntamento, sotto la Prefettura.
Ma prima di partecipare al convivio, anticipato da the pasticcini e
pane arabo – questa dominanza del gusto nordafricano vorrà pur
dire qualcosa - le strategie dell'attenzione erano già state
dispiegate. Volantini, mostre, appelli e brevi informazioni al
microfono, per invogliare i passanti e sopratutto i tranquilli
frequentatori della piazza a mettersi in ascolto, cogliere almeno il
senso generale di quella presenza lì, essendo il dramma abitativo
appena percepito, le famiglie sfrattate come fantasmi persino
fastidiosi per chi non ha altro da fare che badare a se stesso.
Tutto un campionario di
situazioni. Persone con la coscienza di sé e del mondo estenuata,
dissipata, smarrita, espropriata in trent'anni di individualismo
proprietario, e indigestione di consumi e spettacolo. Quelle che non
colgono la straordinaria frattura del tempo presente, nella
traiettoria di una palla inseguita da un bambino, per fortuna di
bambini ce ne sono molti. Anziani pensosi di sé che forse non si
raccapezzano più, altri in compagnia si affidano alla chiacchiera
per consumare giudiziosamente il tempo dell'ozio. Sulla soglia tra il
passato e il presente, dicono e ascoltano storie ricche di senso,
storie di generazioni, che rischiano di andare perdute con i loro
protagonisti. Così che, quando qualcuno si avvicina per fare
domande, oppure mostra di avere già una idea del problema o dei
problemi, l'oscuro militante si illumina e si conforta. Non sono
tutti accecati dunque.
Il clima è mite ed è
difficile, da lontano, cogliere le differenze che animano i diversi
gruppi e le impossibilità di comunicare e i singoli mondi che
neppure si sfiorano, linguaggi, simbolismi e miti da cui ognuno può
ricavare significati radicalmente diversi. Ad unificare nello
sguardo, gazzelle dei carabinieri comprese, sono i vecchi edifici e
la Collegiata, architetture concepite per fare da cortina ad un
“luogo di rispetto”, la piazza appunto, dove i particolari
ancora si riconducono ad uno, dove il presente sta scomodo, ma il
passato e le sue proiezioni sul futuro indugiano, come un treno che
rallenta e li per li non si sa se stia arrivando o partendo.
Quando il corteo,
ingrossato nell'attesa da un gruppo di severi militanti con bandiere,
si mette in moto, dopo essersi concesso ai lampi dei fotografi e alle
incursioni (nostalgiche ?) dell'assessore ai servizi sociali, è
ormai l'imbrunire. E' il momento esatto in cui le fiamme liturgiche
di quaranta fiaccole, moltiplicano all'infinito il mistero della luce
che illumina il cammino. Ci siamo mossi in tanti, in realtà si è
mossa la speranza, che è dura a morire. Famiglie, dunque bambini in
carrozzella, alcuni nati in “flagranza di reato”,
l'intenzione di far vedere alla città il lato oscuro di se stessa,
la città prevalentemente mercantile e sue famiglie “fuori
mercato”. Gli edifici vuoti, senza vita nel loro valore di
scambio, “in attesa di valorizzazione” dicono “loro”,
quelli del partito del mattone. L'ospedale vecchio, l'Upim, i segni
di un modello sociale in crisi, le tentazioni di un diabolico
perseverare in un uso dissennato del territorio e della sua parte più
urbanizzata. Una sosta. Le parole del militante amplificate dal sound
system si diffondono perentorie. Il fantasma del progetto di un
albergo a 5 stelle si aggira come un corvo, il cartellino “etico”
legato ad una zampa è il messaggio per i ricchi che lo
frequenteranno. Il corteo si è allungato nei due corsi e le fiaccole
ne tratteggiano il movimento ma è la colonna sonora che lo
differenzia da una processione........ “Tu ti lamenti, ma che ti
lamenti? Pigghia nu bastune e tira fora li denti”... alla sua
testa il
sound
system suona la musica della rivolta.
In
piazza San Secondo la coreografia è stata un naturale florilegio.
Raro esempio di creatività collettiva, di manifestazione
dell'immanenza. Ciò che la speranza e il desiderio fanno partorire
alla materialità del mondo. Qualcuno, apparentemente per disfarsene,
ha posato il moccolo della fiaccola ai piedi dell'arredo arboreo, al
centro della piazza, esattamente come si fa per lasciare che la
fiamma si estingua da sola. Un inconsapevole gesto propiziatorio. Gli
altri lo hanno seguito, così dopo qualche minuto gli alberi erano
circondati da una corona di fiammelle e quest'ultima da una corona di
persone attratte da una immagine di comunità che si raccoglie in se
stessa. Una comunità in movimento, appunto.
Nessun commento:
Posta un commento