Non
l’abbiamo appresa come una buona notizia, anche se il loro residuo
di cassa l’hanno versato alla nostra Associazione. In questa fase
di chiusura di un ciclo di lotte per il diritto alla casa, abbiamo
attraversato le stesse difficoltà, ci siamo fatti le stesse domande:
perché e come le istituzioni (il potere) e le loro corti (la stampa,
l’opinione pubblica, la possidenza e i fautori del neoliberismo)
hanno sconfitto il nostro progetto; come far si che la nostra
esperienza e il senso che le abbiamo attribuito non vadano perduti,
ma siano il tratto forte della contro-narrazione a cui ci siamo già
applicati.
“In
questo contesto continuiamo a pensare che realtà di volontariato e
di attivismo rappresentino una boccata di aria fresca, un espressione
di umanità e prospettiva per il futuro, e con rammarico quindi
deponiamo il megafono e i volantini, sperando che queste poche righe
e gli eventi della vita possano portare altre persone anche qui a
sperare attivamente in un mondo migliore”. E’ il loro
testamento ideologico, che abbiamo estratto dal loro testo di
commiato, ma è anche il nostro e il loro impegno per il futuro, la
speranza che ci accomuna e il messaggio che ci spinge a superare una
circostanza storica che ci rende politicamente irrilevanti.
Per
tutto questo i nostri legami con loro li sentiamo ancora più solidi
e siamo sicuri che troveranno una nuova forma. Le premesse ci sono
già e le abbiamo vissute, anche in rapporti personali, lungo il
percorso del Brancaccio e non le abbiamo lasciate cadere con il
passaggio elettorale. Il vecchio che si mangia il nuovo è una
circostanza che si manifesta, nelle infinite possibilità del reale,
ogni volta che i processi storici impongono un cambiamento radicale
di rotta. E non è una ambivalenza che possa sciogliersi da sola,
senza l’intervento delle forze sociali; senza la coscienza, il
desiderio, il progetto, l’opposizione, la critica e il conflitto,
della parte sociale che sta sotto, al fondo della costellazione del
potere.
Quella
parte oggi vive una condizione aurorale. Come sempre, quando si
tratta di un nuovo inizio, il cammino è fatto di annunci, di tracce,
di ambiguità. Nulla si presenta come prima. La rivoluzione
neoliberista ha fatto il suo corso, ha scatenato le sue forze
produttive e pur lasciando intatto il vecchio modo di produzione,
mostra di saperne controllare i demoni. Solo fuori dalle fortezze
assediate dei ricchi, le città e interi continenti (dove la
biopolitica del capitale ha messo al lavoro anche i desideri), si può
averne piena consapevolezza. Dentro, dove le disuguaglianze non
minacciano la vita ma solo le sue forme più assoggettate, sarà una
conquista faticosa, il lavoro di minoranze critiche, le esperienze di
queste ultime con chi fugge o tenta di fuggire da quell’assedio.
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