PROCESSO
ALLA POVERTA' E PENE SURREALI.
Considerando
l'entità delle pene (tutte oltre un anno di reclusione, fino a due
anni) è difficile non scorgere un accanimento del giudice, sia nei
confronti dei militanti dell'associazione, sia nei confronti delle
famiglie occupanti. Le azioni di di queste ultime sono state
giudicate in astratto, secondo il profilo dettato dalla norma del
c.p., dunque a prescindere dallo “stato di necessità” a cui le
stesse famiglie erano assoggettate. Come risulta da un suo recente
pronunciamento, persino la Suprema Corte, ammette che il bisogno di
alloggio può determinare uno “stato di necessità” e dunque
costituire una attenuante della pena. Il nostro giudice ha preferito
semplificare.
In
questo fin troppo discutibile indirizzo giudicante, cancellato lo
“stato di necessità” delle famiglie, sono venute di conseguenza
le condanne inflitte ai militanti dell'Associazione (maggiori di
quelle richieste dal pm). Nel giudizio, questi ultimi sono apparsi
nel ruolo di astratti promotori dei più vari reati. A dispetto
della istruttoria, che documentava un rapporto di solidarietà e di
mutuo soccorso, tra Associazione e famiglie in “emergenza
abitativa”, nonché un rapporto dialogico, che ha accompagnando il
conflitto, tra Associazione, Asl, Enti pubblici.
Questo fondamentalismo legalitario del giudice, svela il carattere politico del processo e rimanda, per opposizione, ai soggetti reali che lo affollano, che sono animati dalle contraddizioni e dalle ambivalenze di una grande questione sociale, quale è appunto quella della casa. Dunque, al di là dell'operato del giudice, si può ben dire che questo è un processo alla povertà e, in quanto tale, è un episodio della più generale guerra alla povertà, che in questo momento conducono i poteri dominanti e, in un ruolo sottoordinato, i sindaci e gli assessori delle amministrazioni locali.
Del
resto i paradossi che si possono ricavare, mettendo a confronto
questa vicenda giudiziaria con un'altra di analogo scenario sociale,
sono lì a dimostrare questa tesi. Qui vengono inflitti
complessivamente 40 anni di reclusione ai poveri e a chi ne difende i
diritti. Là vengono inflitti meno di 4 anni a chi si è appropriato
dell'equivalente di 100 case popolari. In un caso e nell'altro,
bisogno abitativo negato e corruzione nelle ATC, l'orientamento degli
amministratori locali, nella serie “se uno è povero è colpa sua,
risulta sovrapponibile a quello dei giudici.
In
quanto alla richiesta di risarcimento di presunti danni materiali e
morali, conseguente alla costituzione di parte civile dell'Asl (15
mila euro + 3 mila di spese processuali), essa conferma il carattere
al tempo stesso surreale e punitivo dell'intera sentenza. Qui la
rimozione del reale e di tutta la sua immanenza è davvero temeraria.
Dal punto di vista morale si tratta ne più ne meno di una bassezza a
danno di poveri diavoli, di cui la dirigenza locale dell'Asl si è
resa fin troppo disinvoltamente responsabile. Gli edifici dell'Asl,
abbandonati dal 2004 al loro puro, astratto, valore di scambio, hanno
forse accresciuto il decoro urbano dei loro d'intorni ? Sono stati
forse incubatori di attività commerciali, artistiche, ludiche ?
Nello scenario delle loro architetture ha preso vita una gioiosa,
liberatoria, movida ? E' accaduto esattamente il contrario:
indecoroso abbandono, grigiore e tristezza, bivacco di fortuna di
vite spericolate, spegnimento degli esercizi commerciali presenti.
Con una eccezione, nella ex mutua di via Orfanotrofio, e d'intorni,
dove gli imputati del processo in questione, hanno
ricostruito legami sociali
altrimenti
distrutti da
sfratti senza alternativa,
hanno
ridato una funzione sociale ad un
immobile
altrimenti
abbandonato
all'incuria,
e
fin che hanno potuto farlo, inseguiti da notarili ordinanze di
sgombero, hanno
fatto esercizio di cittadinanza, in una
città dove
i diritti sociali sono
ormai una variabile dipendente del diritto di proprietà nudo e
crudo. Se c'è ragione di fare un conto dei
danni, questo conto va proprio presentato all'Asl e ai suoi
improbabili e cinici amministratori.
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