giovedì 24 maggio 2012

SOLIDARIETA' RICHIESTA, SOLIDARIETÀ CONCESSA


Abbiamo partecipato all'ultimo direttivo dell'associazione “Dodici ceste” in modo che il ringraziamento per la solidarietà più volte concessa avesse finalmente il volto, la parola e il sentimento di alcuni nostri volontari. Non che fossimo degli sconosciuti, Bruno Giaccone, il presidente di “Dodici ceste” è un volontario della speranza presente da molti anni nello scenario cittadino, persona stimata che ha una consuetudine quasi familiare con alcuni di noi, inoltre le due associazioni hanno più volte intrecciato le loro azioni. Però tutto questo mancava di un suggello che avesse, oltre il valore formale, anche quello una partecipazione umanamente e politicamente più sentita.

I nostri atti di disobbedienza civile, per affermare il diritto all'abitare di persone e famiglie, sono condotti con lo stesso spirito con cui i volontari dell'associazione “Dodici ceste” organizzano e conducono a buon fine i loro progetti di promozione sociale, ma hanno una temporalità e un impegno di risorse molte volte imprevedibili e per la questo più difficilmente sostenibili.
E' stato il caso della “occupazione” di via Orfanotrofio, un edificio non residenziale, dove hanno trovato domicilio 12 famiglie, colpite da sfratto esecutivo, in condizioni economiche assai precarie; famiglie “fuori mercato” (per dirla con il linguaggio del sistema sociale oggi dominante), come molte altre, purtroppo, che si trovano ad affrontare loro malgrado la minaccia di una pesante violazione dei loro diritti primari, quelli che l'articolo 3 della Costituzione impone di tutelare.
L'edificio di via Orfanotrofio, di proprietà pubblica, era abbandonato da anni “in attesa di valorizzazione” e dunque era già privato delle utenze, che in questo caso erano fornite attraverso dispositivi centralizzati, quindi difficilmente riallacciabili. L'associazione ha dunque sommato un debito di 5.000 euro per consumi di energia elettrica, fornita attraverso un contatore da cantiere, dunque pagati con tariffe molto più alte di quelle per la normale utenza.
In azioni come questa non contano ovviamente solo le risorse economiche, contano assai di più le partecipazioni e le vicinanze di persone ed gruppi che condividono il senso morale e sociale delle azioni stesse, le suggestioni, gli immaginari e le rotture temporali che provocano. Ne abbiamo riparlato nel corso del direttivo di “Dodici ceste”, non avevamo mancato di parlarne nel corso di assemblee pubbliche tenute nell'edificio di via Orfanotrofio, vogliamo ripuntualizzarle qui, in questa lettere di ringraziamento, sapendo di fare cosa gradita ai nostri interlocutori.
L'edificio di via Orfanotrofio, in cui oggi e da più di un anno, hanno trovato domicilio 12 famiglie, è stata nel più recente passato la sede degli uffici della ASL cittadina e in un tempo assai più remoto, riconosciuta come “casa dei metallurgici”, ha ospitato le attività di “mutuo soccorso” e organizzative del sindacato della Fiom.
Le attuali circostanze, l'”occupazione”, descrivono una situazione radicalmente diversa da quella in cui, tra l'anno 1919 e l'anno 1920, è nata e si è sviluppata quella esperienza dei metallurgici, poi indotta a spegnersi dalla repressione fascista. Ma la casualità di due eventi che hanno preso le mosse, in tempi storici diversi, nello stesso luogo fisico, l'edificio di via Orfanotrofio, si è rivelata apparente appena superata l'immediatezza della cronaca e la volatilità degli suoi aspetti più esteriori.
L'esperienza dei metallurgici di quegli anni, è stata un esempio straordinario di auto-organizzazione e di autogoverno. Vale a dire di attività non delegate ad altri (enti, Stato), di tutela e di promozione sociale di una intera comunità di lavoratori; di attività di “mutuo soccorso”, come si è detto poi, volendo cogliere la particolare modalità delle di relazioni che legavano quella comunità ad altre comunità di lavoratori.
Nella situazione presente, con un di più di immaginazione, quella esperienza rivela tutta la sua attualità. Ormai quasi cancellata la cultura dei diritti e la politica del welfare con l'evanescenza di tutte le forme costituzionali di esercizio della sovranità popolare e il trasferimento di quella reale alle corporation e agli organismi sovranazionali della economia, dunque con una situazione in cui la democrazia è ridotta ad un simulacro e il malessere sociale rischia di trasformarsi nella ricerca del capro espiatorio, l'esperienza del “mutuo soccorso”, cioè dell'auto-organizzazione della vita sociale, potrebbe essere la strada giusta per uscire dal presente pantano, la strada della consapevolezza, della responsabilità e della dignità.
Per il Coordinamento Asti-Est: Carlo Sottile, Egli Piccinini; email coordinamentoastiest@tiscali.it


LA CASA DEI METALLURGICI
(dal testo de “...qui era la fabbrica più bella che c'era...” di Walter Gonella)
La società di mutuo soccorso fra gli operai metallurgici, fondata nel 1919, aveva uno strettissimo rapporto con la Way Assauto e i suoi lavoratori. Aderiva alla Fiom e contava, nel 1920, oltre mille soci. La casa dei metallurgici sorse per iniziativa spontanea dei lavoratori della Way Assauto, sulla base di una importante iniziativa promossa durante la prima guerra mondiale. Infatti fin dall'inizio del conflitto, quando molti dei lavoratori partirono per il fronte, i lavoratori rimasti in fabbrica cercarono di venire incontro alle esigenze delle famiglie dei colleghi partiti per la guerra. Si decise così che ciascuno, proporzionalmente al proprio reddito, desse un contributo materiale alle famiglie che ne avessero bisogno. Così con trattenute quindicinali sulle buste paga dei lavoratori e con un versamento di pari importo da parte della proprietà della fabbrica, fu costituito un fondo che permise, durante tutto il periodo del conflitto, di dare un sussidio settimanale, ma anche generi di prima necessità, alle famiglie dei sodati. Alla fine della guerra con le somme ancora a disposizione i lavoratori decisero di creare un'istituzione che fosse di sostegno alle loro esigenze. Sorse così la Mutua del metallurgici, di cui beneficiavano anche i metallurgici delle altre fabbriche astigiane. Venne anche acquistato l'edificio destinato ad ospitare la sede: uno stabile di 32 stanze, sito in via Orfanotrofio 7, all'angolo con Via Morelli. Una parte dell'ampio edificio, non destinata a sede sociale, ospitava alcuni alloggi affittati agli iscritti, mentre altri locali erano affittati al neonato Partito Comunista.
Le attività svolte dalla società erano molte: dalla gestione di una biblioteca per i suoi soci, alle feste per beneficenza, dalla gestione di un circolo ricreativo ad attività culturali varie, dai bagni pubblici alla creazione di una scuola professionale.
Ma soprattutto, compito della società dei metallurgici era la raccolta di fondi per l'assistenza medica e per i disoccupati. La distribuzione delle entrate rispecchiava il tipo di attività: il 55% era destinato alla assistenza medica, il 3% alla istruzione professionale, il 2% alla biblioteca, il 19% per i disoccupati, mentre il resto veniva destinato al fondo di resistenza come quota associativa della Fiom.
La Società era molto attiva anche sul piano sindacale. Proprio per questo, prima ancora dell'avvento del fascismo, tra il 1920 e il 1921, furono numerose le intimidazioni e le minacce subite dai membri della Società. Nel marzo 1922 vennero trovati tagliati i fili del telefono della sede di via Orfanotrofio. Un'intimidazione fascista che preoccupò i membri della Società, fino al punto di spingerli a richiedere un permesso per detenere due pistole nella locale sede. Gli attacchi alla Società continuarono. A maggio i fascisti tentarono un assalto alla casa dei metallurgici ma vennero respinti. Una sorte peggiore toccò alla Camera del lavoro che, dopo essere stata danneggiata e saccheggiata nel marzo del 1922, venne incendiata il 3 agosto dello stesso anno, quando, anche la sede del Partito comunista, ospitata nello stabile della Casa dei metallurgici, venne distrutta.
Nel corso del 1922, ….le pressioni fasciste continuarono. Prima il segretario delle Corporazioni chiese di ospitare gli uffici del sindacato fascista in alcuni locali della società, poi vennero fatte pressioni affinché la Società dei metallurgici si iscrivesse alla Federazione delle Società Mutue. I metallurgici opposero sempre netti rifiuti a tali richieste, ma la situazione e i margini di manovra si riducevano progressivamente.
Nel 1927 il prefetto di Alessandria impose d'autorità un nuovo presidente della Società, senza elezioni. Qualche giorno dopo anche il consiglio di amministrazione venne sciolto. Le nuove nomine, da allora in poi, sarebbero state imposte dall'alto: 5 membri designati dalla direzione della Way Assauto e 5 dalla Federazione dei sindacati fascisti.
Negli anni seguenti, la Società dei metallurgici perse progressivamente la propria identità. Ridotta, di fatto, ad una realtà esclusivamente aziendale, la Società dei metallurgici vide la riduzione dei sussidi di disoccupazione; subì una drastica pulizia al suo interno, con l'espulsione dei soci apertamente antifascisti e il rifiuto di aiuti e sussidi a chi non era fascista. La fine giunse nel 1936 quando la proprietà della Casa dei metallurgici passò all'unione fascista dei sindacati dell'industria.

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