Abbiamo
partecipato all'ultimo direttivo dell'associazione “Dodici ceste”
in modo che il ringraziamento per la solidarietà più volte concessa
avesse finalmente il volto, la parola e il sentimento di alcuni
nostri volontari. Non che fossimo degli sconosciuti, Bruno Giaccone,
il presidente di “Dodici ceste” è un volontario della speranza
presente da molti anni nello scenario cittadino, persona stimata che
ha una consuetudine quasi familiare con alcuni di noi, inoltre le due
associazioni hanno più volte intrecciato le loro azioni. Però
tutto questo mancava di un suggello che avesse, oltre il valore
formale, anche quello una partecipazione umanamente e politicamente
più sentita.
I
nostri atti di disobbedienza civile, per affermare il diritto
all'abitare di persone e famiglie, sono condotti con lo stesso
spirito con cui i volontari dell'associazione “Dodici ceste”
organizzano e conducono a buon fine i loro progetti di promozione
sociale, ma hanno una temporalità e un impegno di risorse molte
volte imprevedibili e per la questo più difficilmente sostenibili.
E'
stato il caso della “occupazione” di via Orfanotrofio, un
edificio non residenziale, dove hanno trovato domicilio 12 famiglie,
colpite da sfratto esecutivo, in condizioni economiche assai
precarie; famiglie “fuori mercato” (per dirla con il linguaggio
del sistema sociale oggi dominante), come molte altre, purtroppo, che
si trovano ad affrontare loro malgrado la minaccia di una pesante
violazione dei loro diritti primari, quelli che l'articolo 3 della
Costituzione impone di tutelare.
L'edificio
di via Orfanotrofio, di proprietà pubblica, era abbandonato da anni
“in attesa di valorizzazione” e dunque era già privato delle
utenze, che in questo caso erano fornite attraverso dispositivi
centralizzati, quindi difficilmente riallacciabili. L'associazione ha
dunque sommato un debito di 5.000 euro per consumi di energia
elettrica, fornita attraverso un contatore da cantiere, dunque pagati
con tariffe molto più alte di quelle per la normale utenza.
In
azioni come questa non contano ovviamente solo le risorse economiche,
contano assai di più le partecipazioni e le vicinanze di persone ed
gruppi che condividono il senso morale e sociale delle azioni stesse,
le suggestioni, gli immaginari e le rotture temporali che provocano.
Ne abbiamo riparlato nel corso del direttivo di “Dodici ceste”,
non avevamo mancato di parlarne nel corso di assemblee pubbliche
tenute nell'edificio di via Orfanotrofio, vogliamo ripuntualizzarle
qui, in questa lettere di ringraziamento, sapendo di fare cosa
gradita ai nostri interlocutori.
L'edificio di via
Orfanotrofio, in cui oggi e da più di un anno, hanno trovato
domicilio 12 famiglie, è stata nel più recente passato la sede
degli uffici della ASL cittadina e in un tempo assai più remoto,
riconosciuta come “casa dei metallurgici”, ha ospitato le
attività di “mutuo soccorso” e organizzative del sindacato della
Fiom.
Le attuali
circostanze, l'”occupazione”, descrivono una situazione
radicalmente diversa da quella in cui, tra l'anno 1919 e l'anno 1920,
è nata e si è sviluppata quella esperienza dei metallurgici, poi
indotta a spegnersi dalla repressione fascista. Ma la casualità di
due eventi che hanno preso le mosse, in tempi storici diversi, nello
stesso luogo fisico, l'edificio di via Orfanotrofio, si è rivelata
apparente appena superata l'immediatezza della cronaca e la
volatilità degli suoi aspetti più esteriori.
L'esperienza dei
metallurgici di quegli anni, è stata un esempio straordinario di
auto-organizzazione e di autogoverno. Vale a dire di attività non
delegate ad altri (enti, Stato), di tutela e di promozione sociale di
una intera comunità di lavoratori; di attività di “mutuo
soccorso”, come si è detto poi, volendo cogliere la particolare
modalità delle di relazioni che legavano quella comunità ad altre
comunità di lavoratori.
Nella situazione
presente, con un di più di immaginazione, quella esperienza rivela
tutta la sua attualità. Ormai quasi cancellata la cultura dei
diritti e la politica del welfare con l'evanescenza di tutte le
forme costituzionali di esercizio della sovranità popolare e il
trasferimento di quella reale alle corporation e agli organismi
sovranazionali della economia, dunque con una situazione in cui la
democrazia è ridotta ad un simulacro e il malessere sociale rischia
di trasformarsi nella ricerca del capro espiatorio, l'esperienza del
“mutuo soccorso”, cioè dell'auto-organizzazione della vita
sociale, potrebbe essere la strada giusta per uscire dal presente
pantano, la strada della consapevolezza, della responsabilità e
della dignità.
Per
il Coordinamento Asti-Est: Carlo
Sottile, Egli Piccinini; email coordinamentoastiest@tiscali.it
LA
CASA DEI METALLURGICI
(dal testo de
“...qui era la fabbrica più bella che c'era...” di Walter
Gonella)
La
società di mutuo soccorso fra gli operai metallurgici, fondata nel
1919, aveva uno strettissimo rapporto con la Way Assauto e i suoi
lavoratori. Aderiva alla Fiom e contava, nel 1920, oltre mille soci.
La casa dei metallurgici sorse per iniziativa spontanea dei
lavoratori della Way Assauto, sulla base di una importante iniziativa
promossa durante la prima guerra mondiale. Infatti fin dall'inizio
del conflitto, quando molti dei lavoratori partirono per il fronte, i
lavoratori rimasti in fabbrica cercarono di venire incontro alle
esigenze delle famiglie dei colleghi partiti per la guerra. Si decise
così che ciascuno, proporzionalmente al proprio reddito, desse un
contributo materiale alle famiglie che ne avessero bisogno. Così con
trattenute quindicinali sulle buste paga dei lavoratori e con un
versamento di pari importo da parte della proprietà della fabbrica,
fu costituito un fondo che permise, durante tutto il periodo del
conflitto, di dare un sussidio settimanale, ma anche generi di prima
necessità, alle famiglie dei sodati. Alla fine della guerra con le
somme ancora a disposizione i lavoratori decisero di creare
un'istituzione che fosse di sostegno alle loro esigenze. Sorse così
la Mutua del metallurgici, di cui beneficiavano anche i metallurgici
delle altre fabbriche astigiane. Venne anche acquistato l'edificio
destinato ad ospitare la sede: uno stabile di 32 stanze, sito in via
Orfanotrofio 7, all'angolo con Via Morelli. Una parte dell'ampio
edificio, non destinata a sede sociale, ospitava alcuni alloggi
affittati agli iscritti, mentre altri locali erano affittati al
neonato Partito Comunista.
Le
attività svolte dalla società erano molte: dalla gestione di una
biblioteca per i suoi soci, alle feste per beneficenza, dalla
gestione di un circolo ricreativo ad attività culturali varie, dai
bagni pubblici alla creazione di una scuola professionale.
Ma
soprattutto, compito della società dei metallurgici era la raccolta
di fondi per l'assistenza medica e per i disoccupati. La
distribuzione delle entrate rispecchiava il tipo di attività: il 55%
era destinato alla assistenza medica, il 3% alla istruzione
professionale, il 2% alla biblioteca, il 19% per i disoccupati,
mentre il resto veniva destinato al fondo di resistenza come quota
associativa della Fiom.
La
Società era molto attiva anche sul piano sindacale. Proprio per
questo, prima ancora dell'avvento del fascismo, tra il 1920 e il
1921, furono numerose le intimidazioni e le minacce subite dai membri
della Società. Nel marzo 1922 vennero trovati tagliati i fili del
telefono della sede di via Orfanotrofio. Un'intimidazione fascista
che preoccupò i membri della Società, fino al punto di spingerli a
richiedere un permesso per detenere due pistole nella locale sede.
Gli attacchi alla Società continuarono. A maggio i fascisti
tentarono un assalto alla casa dei metallurgici ma vennero respinti.
Una sorte peggiore toccò alla Camera del lavoro che, dopo essere
stata danneggiata e saccheggiata nel marzo del 1922, venne incendiata
il 3 agosto dello stesso anno, quando, anche la sede del Partito
comunista, ospitata nello stabile della Casa dei metallurgici, venne
distrutta.
Nel
corso del 1922, ….le pressioni fasciste continuarono. Prima il
segretario delle Corporazioni chiese di ospitare gli uffici del
sindacato fascista in alcuni locali della società, poi vennero fatte
pressioni affinché la Società dei metallurgici si iscrivesse alla
Federazione delle Società Mutue. I metallurgici opposero sempre
netti rifiuti a tali richieste, ma la situazione e i margini di
manovra si riducevano progressivamente.
Nel
1927 il prefetto di Alessandria impose d'autorità un nuovo
presidente della Società, senza elezioni. Qualche giorno dopo anche
il consiglio di amministrazione venne sciolto. Le nuove nomine, da
allora in poi, sarebbero state imposte dall'alto: 5 membri designati
dalla direzione della Way Assauto e 5 dalla Federazione dei sindacati
fascisti.
Negli
anni seguenti, la Società dei metallurgici perse progressivamente la
propria identità. Ridotta, di fatto, ad una realtà esclusivamente
aziendale, la Società dei metallurgici vide la riduzione dei sussidi
di disoccupazione; subì una drastica pulizia al suo interno, con
l'espulsione dei soci apertamente antifascisti e il rifiuto di aiuti
e sussidi a chi non era fascista. La fine giunse nel 1936 quando la
proprietà della Casa dei metallurgici passò all'unione fascista dei
sindacati dell'industria.
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