Un
anno di affermazione del diritto all'abitare di 11 famiglie
altrimenti
minacciato da procedure di sfratto per morosità incolpevole; dalla
impossibilità di affrontare in solitudine un problema sociale di
questa gravità; dalla mancanza di alternative abitative (casa
popolare o abitazione a canone calmierato), salvo disperdere le
famiglie, dividendo i genitori dai figli, in approssimate reti di
solidarietà amicale o parentale, o nell'ancor più approssimata
foresteria del Comune (Maina). Nel conto delle costrizioni possibili
(ma anche degli auspici dell'assessore ai Servizi Sociali) non manca
il ritorno ai paesi di origine delle famiglie straniere senza lavoro
stabile e reddito garantito.
Un
anno di autogestione di un edificio di proprietà pubblica
una
domiciliarità ricostruita tra mille difficoltà (l'impossibilità di
attivare l'impianto di riscaldamento, il costo elevatissimo della
energia elettrica attinta ad un contatore da cantiere, le
ristrettezze di un edificio non residenziale trasformato, attorno ai
servizi igienici esistenti, in 11 unità abitative,). Nonostante ciò
l'unità delle famiglie è stata tutelata (i pasti attorno ad un
tavolo, i bambini a scuola, il sonno protetto, gli adulti alla
ricerca meno affannosa di una occasione di lavoro) e l'occupazione è
adesso un progetto di convivenza e di inserimento sociale offerto
all'interesse e alla collaborazione di chi auspica una società
responsabile e solidale (sono costoro, purtroppo, ancora pochissimi).
Un
anno di riappropriazione del reddito
che
mani rapaci di banchieri, finanzieri, responsabili della crisi
sociale in corso, hanno ingiustamente tolto a 11 famiglie. Redditi
nulli, modesti, precari, intermittenti, lavori somministrati con il
contagocce, lavoratori privati dei diritti, alla mercé dei calcoli
mercantili di banchieri, finanzieri, padroni delle ferriere;
lavoratori espropriati del loro lavoro: questa è la realtà sociale
che si frequenta in questo luogo. L'occupazione di un edificio vuoto
da anni, in attesa di “valorizzazione” mercantile, come questo di
via Orfanotrofio (analogamente quello di via Allende), è stata una
azione politica consapevole, di riappropriazione di una parte di quel
reddito ingiustamente tolto.
Un
anno di rapporti di solidarietà e partecipazione
rapporti
preziosi, qualche volta duraturi, con cittadini e associazioni, per
superare le prime difficoltà (ad ogni inverno c'è bisogno di legna
da ardere, e di soldi perché le bollette della luce sono
salatissime); rapporti necessari perché siano riconosciuti il senso
liberatorio (da pregiudizi, da false visioni della realtà), e le
finalità sociali di questa “occupazione”. Rapporti ricercati e
agiti in occasione di numerose iniziative pubbliche, dibattiti,
momenti ludici o espressivi, organizzate in questo edificio, la ex
mutua, un edificio che negli anni 20 è stato la “casa dei
metallurgici”. Dunque questo edificio è adesso l'abitazione di 11
famiglie ma è anche un luogo ricco di memorie di mutuo soccorso tra
lavoratori, di partecipazione democratica, di impegno antifascista.
Un
anno di conflitti con le autorità pubbliche
è
l'unico capitolo totalmente negativo di questa storia, che da questo
punto di vista è una storia non compiuta, il possibile scenario di
sgomberi violenti, di violenta negazione del diritto all'abitare, di
violenta imposizione di regole esclusivamente mercantili (l'edificio
è stato messo in vendita all'asta, i processi degli occupanti sono
istruiti). La risposta del sindaco e dei suoi assessori, alla
richiesta di tutela del diritto all'abitare, è stata esclusivamente
repressiva, oppure irresponsabilmente notarile: richieste di
sgombero, denunce che annunciano processi, delegittimazione di tutte
le azioni pubbliche delle famiglie e delle associazioni e infine una
sorda rappresaglia (famiglie “occupanti” escluse dalle
assegnazioni di case popolari o dall'accesso alle borse lavoro,
oppure ostacolate in modo burocratico nel riconoscimento del loro
attuale domicilio).
Si ad uno spazio sociale nella ex casa dei metallurgici
l'
occupazione non poteva essere, come si è visto, un fatto privato di
alcune famiglie, solo il sindaco e la giunta comunale insistono
ancora adesso a considerarlo tale. Le famiglie e le associazioni lo
hanno sempre, necessariamente, considerato un fatto pubblico in cui
viene rappresentato e agito un conflitto sociale. La dignità, il
diritto, l'umanità di persone e famiglie, opposte alla rapacità, la
violenza, la disumanità dei fautori e sostenitori del “moderno”
dominio mercantile.
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