Brecht ne ha tessuto le
lodi. La dialettica non è la chiacchiera, è uno strumento
del pensiero per indagare la realtà nei suoi processi e nelle sue
contraddizioni, nelle sue dinamiche e nei suoi annunci. Dovremmo
farne un uso migliore, perché la realtà non è mai uguale a se
stessa.
Tutta la nostra azione
non è conforme ai valori e agli assetti sociali dominanti. La
particolarità sta nel fatto che le classi sociali dominanti non sono
più tanto sicure di se stesse, i loro valori vacillano, traballano
gli assetti sociali in cui si cristallizza il loro potere e la loro
visione del mondo. L'altra particolarità sta nel fatto che le classi
subalterne, alla fine di un ciclo storico che le ha viste prima
protagoniste e poi sconfitte, non hanno ancora elaborato una
alternativa, all'altezza delle presenti contraddizioni sociali.
Insomma anche nel nostro campo le incertezze non sono poche.
La circostanza la
chiamiamo sbrigativamente crisi.
Ogni crisi ha le sue
caratteristiche, su queste dovremmo chiarirci meglio. Ci serve il
seminario di cui abbiamo parlato. In ogni caso non ci muoviamo nel
vuoto ma configgendo in varie forme e sperimentando. Sono le nostre
pratiche sociali che ci orientano. Il giudizio che diamo sui nostri
interlocutori istituzionali o su quelli più legati al recente quadro
istituzionale, lo misuriamo su quel che ci rimandano, in
comportamenti e pensieri, quando ci relazioniamo con loro. Non
possiamo ignorare gli effetti spiazzanti della crisi su questi
interlocutori, dobbiamo lavorarci su ed è quello che stiamo facendo
e sbagliamo quando non apprezziamo questo nostro lavoro. I
cliché non ci servono, ogni tanto nei nostri discorsi ne appare
qualcuno.
Tra questi
interlocutori ci sono quelli che hanno il monopolio della forza
ma non abbiamo nessun interesse a precipitare in confronti sulla
forza tutto quello che costruiamo in confronti sulle idee, i
progetti, le visioni del mondo. Neppure loro hanno questo interesse,
non solo per lo spiazzamento di cui dicevo prima, ma perché il loro
ruolo si esercita con strumenti di controllo, molto meno con
strumenti brutalmente repressivi (i sociologi ci hanno avvertito da
un pezzo che siamo passati dalla società del comando a quella del
controllo). Questo non significa esorcizzare il confronto sulla forza
ma prepararlo meglio. Cominciamo a parlarne in pubblico, della
resistenza passiva, della necessità di disobbedire a leggi ingiuste.
Mai come adesso vale l'adagio, che anche l'ultimo dei giudici
conosce, “non tutto ciò che è legale è giusto”. In
questo senso le nostre azioni sono “azioni fuori controllo”
e la nostra necessità è la “necessità di rompere lo
spettacolo”. Ci sono settori del movimento che descrivono
questa fase come una una fase costituente. Che vuol dire
costituente ? In parole povere, saper risalire la china che ci trova
spossessati della nostra rappresentanza e della nostra sovranità e
farlo senza voltarci troppo indietro, sperimentando nella pratica
sociale idee e risultati. Ci stiamo misurando con il potere, è una
cosa seria che non ammette nessun compiacimento.
E poi ci sono gli
altri interlocutori, quelli che per collocazione di classe non
sono organicamente in conflitto con noi. E' la differenza tra un
immobiliarista e un professore di università, tra un imprenditore e
un precario oppure tra il presidente della confindustria locale, il
presidente della caritas o il segretario del sindacato confederale.
Sono gli interlocutori che vogliamo considerare nostri potenziali
alleati o compagni di strada e con i quali, complice la gravita della
crisi sociale, abbiamo aperto un dialogo. Un dialogo si fa in
due, con pari dignità. Certo bisogna condurlo senza cancellare
alcuna differenza, senza compromissioni. Anche in questa questione
non dobbiamo dimenticare elementi di analisi che pure di tanto in
tanto pronunciamo. La democrazia è stata così prosciugata
dei suoi elementi essenziali, vale a dire il confronto tra
alternative sociali, gli spazi di compromesso, non compromissioni,
che il suo esercizio si risolve troppo spesso in riti che non
alterano minimamente il potere della possidenza. In altre parole
quando mettiamo una questione sociale alla prova della democrazia
partecipata ci accorgiamo di doverla porre subito in tutto il suo
valore politico, la concretezza di un bisogno o un diritto che
deve essere soddisfatto o negato.
In questo contesto
anche la questione della coscientizzazione (della consapevolezza,
della coscienza politica) si pone in modo inedito e risulta
estenuata ogni passata schematizzazione/metodologia. Anche il più
modesto agitatore sociale o persona “che sente il dolore del mondo”
è spinto a lavorare sul senso di quel che fa e sulle metodologie per
aggiungere quel senso alle ragioni più dirette di chi si ribella
alle ingiustizie e alle oppressioni di questa società globalizzata.
Il populismo ha
già dato le sue prove peggiori, forse da noi sta tramontando, ma il
rischio è sempre presente e non lo esorcizziamo immaginando che
questa battaglia di senso sia già vinta e i vittoriosi siano quelli
che si rivoltano. Tra l'altro, anche in questo campo ci aspettiamo
uno scambio, non siamo così presuntuosi dal credere che le
altre culture passino vicino a noi lasciandoci indifferenti. Si
chiamava egemonia, il prevalere nelle relazioni sociali di una
visione del mondo piuttosto che di un'altra. Altra parola che
incontreremo nel nostro seminario.
Gli obiettivi delle
nostre azioni più prossime sono due e li indichiamo continuamente
nelle nostre parole e nei nostri testi. Lo facciamo con
riferimento a situazioni concrete, alla nostra pratica sociale
concreta. Anche questa modalità ci caratterizza, ci permette di
argomentare i nostri progetti e i nostri obiettivi senza troppe
astrazioni (la società dello spettacolo è fatta di astrazioni). In
particolare per via Allende, adesso che la proprietà si è fatta
viva e ha chiesto al giudice di “rientrare in possesso del suo
bene” (quindi si approssima la minaccia delle sgombero
violento) i nostri obiettivi sono due e li abbiamo già esplicitati
nelle regole di autogestione di quell'edificio, vale a dire mantenere
il carattere pubblico dell'edificio, precisamente un edificio di erp,
e inserire le famiglie che “occupano” nel regime normativo della
erp. Si tratta come è evidente di un percorso che continua e che
ha una tappa importantissima nel processo del 21. Quel processo non
possiamo subirlo, considerarlo un affare degli occupanti di via
Allende. Dobbiamo farne un momento importante di rilancio della
nostra interlocuzione con la città, con le associazioni sindacati
compresi. Dobbiamo mettere sul piano del giudizio della nostra
opinione pubblica in primo luogo, del procuratore e del giudice in
secondo luogo, una proposta che risulti convincente senza essere
compromissoria.
Alcune premesse devono
essere chiare da subito, insieme alla nostra proposta. Le famiglie di
via Allende non sono in emergenza abitativa. Grazie
all'occupazione adesso conducono una vita “normale”. Gli alloggi
di via Allende non sono sottratti al patrimonio pubblico ma
aggiunti. Sono le premesse che corrispondono al reale esercizio
del diritto all'abitare di quelle sei famiglie e corrispondono alla
reale, realissima, necessità di rimuovere una parte delle cause
sociali che negano quei diritti (lo stato attuale delle politiche
abitative e dell'uso del territorio).
La proposta è il
comodato d'uso, di tre anni, inteso come passaggio transitorio e
preparatorio dell'esito finale, vale a dire la consegna dell'edificio
al Comune (o all'atc) e il diritto all'abitare delle sei famiglie
tutelato. Un comodato d'uso con risarcimento, la conferma di
quello già in atto, nella cura dell'edificio e delle sue pertinenze,
nell'inserimento della sua residenzialità nel tessuto urbano
cittadino, nonché il pagamento di un canone di affitto mensile in
proporzione al reddito a complemento di un minimo. Un regolamento
del comodato d'uso che anticipi, nei tre anni, il passaggio
dall'autogestione alla gestione atc. Vale a dire, l'inserimento
in graduatoria delle famiglie e l'inserimento degli alloggi nella
disponibilità di alloggi popolari a disposizione degli aspiranti
assegnatari utilmente inseriti nella graduatoria. La proposta è
semplice e rigorosa, ha ovviamente il sostegno degli avvocati, ha
bisogno di altre associazioni che la sottoscrivano e la sostengano.
Su questa proposta dobbiamo misurare tuta la nostra capacità
comunicativa. Propongo di passare prima del 14 da alcune associazioni
e dai sindacati, dividiamoci i compiti, senza tralasciare
l'opposizione politica e il suo deputato.
Le variabili che
sconsigliano la quarta occupazione subito, compatibilmente con i
bisogni abitativi delle famiglie. L'esito del tavolo del 14,
l'esito del processo del 21.
Possiamo solo fare
delle ipotesi e delle previsioni. Possiamo ammettere con una buona
approssimazione che il livello di compromissione (nel senso di
evitare che il problema sociale sia trattato come problema di ordine
pubblico) della Prefettura e della Questura nonché della Procura
della Repubblica ha probabilmente raggiunto il limite. Quando
si dice che la magistratura è indipendente non si dice che è chiusa
nei suoi riti, cieca e sorda su quanto avviene nella società. Invece
vede e ascolta. Una cosa è certa, è costretta ad ascoltare i
soggetti del circolo istituzionale piuttosto che i soggetti sociali.
Vogliamo correre il rischio di essere oggetto di provvedimenti
restrittivi della libertà di movimento oppure accusati di
associazione a delinquere ? Io penso di no, perché
limiterebbe troppo la nostra libertà d'azione. Questo significa
semplicemente avere presente il problema e comportarci di
conseguenza. Usare un principio di precauzione significa rimandare la
quarta occupazione a dopo il processo e lasciare che ad “invadere
l'edificio” siano le famiglie. Si può ragionevolmente presumere
che aumentino le pressioni istituzionali sulla Procura in presenza di
una nuova occupazione. Ma sarebbe meglio che questo avvenisse dopo il
processo. Ripeto, compatibilmente con i bisogni abitativi delle
famiglie.
Per quanto riguarda
il tavolo del 14, non credo che possa influire negativamente la
quarta occupazione, anzi potrebbe mettere più a nudo la linea
dell'assessore e del sindaco che è quella di gestire l'emergenza,
una sorta di emergenza continua, senza mai una attenzione alle
cause della emergenza in primis la mancanza di alloggi popolari o a
canone sociale. Tra l'altro siamo già ufficialmente convocati,
mi è giunta l'email di convocazione che vi giro.
Sullo stato generale
delle cose, il movimento in regione e sul territorio nazionale,
dobbiamo ammettere di non avere una analisi seria. I nostri
coordinamenti regionali sono cessati e non si sa perché. I nostri
collegamenti in rete sono affidati al discernimento di ciascuno di
noi, ciascuno di noi in solitudine. L'abbozzo di analisi che
proponeva ieri Pina è troppo approssimato.
PS. non credo in
complotti c'è piuttosto un becerume che supera ogni limite. Il CSV,
per chi non lo sapesse, non ci stampa i volantini quando includono
esplicite critiche all'assessore o al sindaco. Il gruppo che dirige
il Centro è fortemente influenzato dalla Cdl. Questo chiarisce
l'idea di far scegliere il CSV. Cucu Merlu !!!! In quanto alla nostra
passionaria, è evidente che si tratta di una persona ingombrante,
ego-maniaca, donna, ecc ecc ma da qui a pensarla una infiltrata ce ne
corre. Certo ha dei pregiudizi, si è esposta alle lusinghe, altro
becerume, del sindaco e dell'assessore, ma tutto sommato mi è
apparsa sincera e una certa leadership la esercita sul gruppo delle
famiglie che vogliono occupare. In ogni caso il problema può
risolversi solo con il dialogo con lei.
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