lunedì 21 novembre 2011

I nodi del dibattito


Sulla perdita di sovranità, che si è consumata in un ventennio e oltre di cavalcata neoliberista, ormai convengono tutti gli analisti della nostra parte (i movimenti). Perdita di sovranità, ossia perdita del potere di decidere sul nostro territorio e su tutto ciò che fino a ieri avevamo considerato bene pubblico. Parallelamente un venir meno di una cultura dei diritti (quelli costituzionali), nel senso che non c'è più nulla di esigibile, restano le opportunità offerte dalla “mano invisibile del mercato” (che, per definizione, garantisce l'utilizzo più razionale ed equo delle risorse, essendo risorse anche quelle “umane”). 

Cosa abbia prodotto tutto questo in termini di democrazia e di rappresentanza risulta meno chiaro, ma sulla mancanza di democrazia reale e di una rappresentanza con ragioni sociali reali convengono praticamente tutti. Da questo punto di vista questo governo Monti è il distillato di un sistema come questo, come lo è la insostenibilità sociale ed ambientale ormai conclamata di questo stesso sistema. Un governo che non è stato eletto ma nominato, con una rappresentanza che accredita pure astrazioni (il paese, l'Italia, i responsabili, i moralmente ineccepibili, i professionalmente preparati), per nascondere quella reale (dei ricchi, delle banche, del sistema finanziario). Dalle biografie con i luiss, i salotti buoni, la giacca all'inglese, i redditi milionari e i curriculum, tutte ascrivibili al sistema di potere che ha condotto la politica e l'economia a questo esito, si può mettere in evidenza solo una questione di stile. Populisti o tecnocrati, sono sempre al servizio del capitale.
Su come uscire da questa situazione la ricetta che va per la maggiore è quella liberista, in continuità con quella berlusconiana. Una scelta di grande rispetto del mercato, di contenimento dei suoi effetti peggiori, di devota filantropia e ovviamente di cecità o ignoranza circa l'efficacia dei provvedimenti annunciati per risolvere la “crisi”. Chi ne fa una questione di stile ovviamente la conferma. E gli altri, i partiti, i movimenti ? I partiti della sinistra, dopo essere stati per decenni collusi, tentano di farsi una verginità riaccreditando le forme della democrazia costituzionale. Lo fanno accettando una rottura di quelle forme, l'investitura di Monti da parte del capo dello Stato, e al tempo stesso riconfermandole nei loro rituali. Il tentativo di Rifondazione di mettersi al passo delle “moderne contraddizioni sociali” (gli appelli di Bertinotti al congresso di Rimini) è miseramente fallito e questo esito non può essere giustificato con i vecchi argomenti della litigiosità, della resistenza alla innovazione, del conservatorismo della sinistra. Tutti questi attributi sono gli effetti, non le cause, della perdita di identità e di ruolo di questi partiti. La causa principale, troppo spesso sottaciuta (questo si per conservatorismo) sta nel fatto che quelle forme della politica non attraversano più i processi reali, non danno/ricevono senso da quei processi. La realtà sociale conseguente ad una sconfitta storica (il novecento del compromesso sociale) e alla ennesima ri/forma del capitale (il neoliberismo), ha rotto le vecchie forme e ne impone, dal suo interno, delle nuove. Non c'è ovviamente nessun automatismo in tutto questo, ma l'intelligenza politica e sociale che vi opera si esercita necessariamente nella pratica di azioni costituenti e nei conflitti, non può esercitarsi a tavolino o in improbabili revival.
I movimenti invece nei processi reali ci sono. Nel contesto dato la loro parzialità e impoliticità è solo apparente. Intanto è lì che ci sono i materiali per una riforma della politica, o meglio, per una rivincita della politica sull'economia neoliberista. Per il semplice fatto che accompagnano la loro critica al sistema dominante con una pratica sociale conseguente. Per il semplice fatto che la loro critica si configura ormai come una cultura altra, come un punto di vista non conforme, alternativo a quello dominante. Inoltre questa pratica sociale sperimenta necessariamente una forma di democrazia partecipata nonché una forma di rappresentanza che è sovrapponibile alla sue proprie ragioni sociali (autogoverno, assenza di delega). In quanto alla parzialità, alla difficoltà ad accreditarsi tout court come soggetti politici, bisogna prendere atto che si tratta di un percorso non ancora compiuto ma che può essere completato solo fuori dagli schemi costituzionali, fuori dalle esperienze di qualche decennio fa. Lo schema della divisione dei compiti (al movimento il conflitto parziale, alla politica – i partiti – l'intelligenza politica del progetto) è definitivamente saltato. Adesso si dice che sono i movimenti a dettare l'agenda della politica, può essere una prima tappa di un cambio di paradigma. In ogni caso si tratta di cogliere il movimento dialettico dei processi in corso, ciò che viene negato e al tempo stesso affermato. Per esempio, un individualismo proprietario, competitivo e in ultima istanza socialmente irresponsabile, a cui si oppone un individualismo di persone padrone di sé stesse, cooperanti e solidali, socialmente responsabili.
Quando si dice che è l'economia che governa la società, si accredita un sistema che non ammette un vero negoziato, un vero compromesso, non ammette alternative, che non siano di sistema. In una mega-macchina le azioni interagiscono necessariamente tra loro.
Per quanto riguarda il Coordinamento, e il problema della casa, tutto un periodo segnato dalla parzialità e dalla necessità di comporre in un progetto politico in cui il problema della casa trovasse soluzioni negoziate e coerenti con un generale progetto di riforma esterno/delegato al un soggetto politico, si è chiuso non appena agli sportelli dell'associazione si sono presentati i cosiddetti naufraghi dello sviluppo. Cittadini/famiglie, spogliati dei loro diritti e ridotti a pura forza-lavoro da usare nei processi di valorizzazione del capitale. Cittadini/famiglie senza diritti, temporaneamente o definitivamente fuori mercato secondo tempi e finalità totalmente estranei al loro progetto di vita. Da quel momento la parzialità è finita, perché il problema della casa è diventato un problema di diritti negati, di lavoro ridotto a puro valore d'uso del capitale, di welfare inesistente, di dominio della speculazione immobiliare, di credito al consumo, di una organizzazione sociale plasmata dai valori e dalla finalità del mercato.
In questo contesto l'associazione non fornisce solo informazioni ma offre una analisi sociale, una pedagogia, modi di pensare e di agire in cui la settorialità è definitivamente superata, c'è qualcuno infatti che ci attribuisce il ruolo di un partito. Ciò che rimane ancora settoriale sono le pratiche sociali, i modi concreti di passare dalla negazione di un diritto alla affermazione di quel diritto, dalla filantropia alla risposta che aggredisce la cause strutturali del problema. Ed ecco che vengono fuori tutti i temi impliciti nelle nostre azioni, soprattutto in quelle non conformi. Non c'è niente di irrazionale in tutto ciò, anzi c'è una lucida coscienza politica. La necessità di passare dalle parole ai fatti non è l'esito di un qualche rigore morale giacobino. All'incontrario, è l'impossibilità di fare altrimenti che la muove. In questo senso (dell'immanenza) gli atti hanno un carattere “costituente”, vale a dire costituente di una nuova cultura, di una nuova forma politica, di un nuovo progetto di società. Per ciò stesso gli atti costituenti sono atti di disobbedienza civile; la presa d'atto che non tutto ciò che è legale è giusto. Ai militanti dell'associazione non sono mai mancate le ragioni, le capacità di confrontarle senza rinunciarvi, l'idea di un compromesso. Ma un compromesso sociale oppure semplicemente un dialogo e un confronto implicano la presenza di due soggetti, fondati nella loro autonomia, implicano uno spazio in cui sono possibili delle convenienze reciproche, in cui si giocano delle prospettive non necessariamente sovrapponibili.
La val di Susa è stata catalogata come territorio militare dove qualunque forma di protesta, anche quella più pacifica, è considerata reato. Si rischia la galera. E' tornata di terribile attualità la domanda di Brecht è più criminale fondare una banca o rapinarla. E' necessario muovere l'auto/organizzazione della società.


21/11/2011

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