Cosa abbia prodotto
tutto questo in termini di democrazia e di rappresentanza
risulta meno chiaro, ma sulla mancanza di democrazia reale e
di una rappresentanza con ragioni sociali reali convengono
praticamente tutti. Da questo punto di vista questo governo Monti è
il distillato di un sistema come questo, come lo è la
insostenibilità sociale ed ambientale ormai conclamata di
questo stesso sistema. Un governo che non è stato eletto ma
nominato, con una rappresentanza che accredita pure astrazioni (il
paese, l'Italia, i responsabili, i moralmente ineccepibili, i
professionalmente preparati), per nascondere quella reale (dei
ricchi, delle banche, del sistema finanziario). Dalle biografie con i
luiss, i salotti buoni, la giacca all'inglese, i redditi milionari e
i curriculum, tutte ascrivibili al sistema di potere che ha condotto
la politica e l'economia a questo esito, si può mettere in evidenza
solo una questione di stile. Populisti o tecnocrati, sono sempre
al servizio del capitale.
Su come uscire da
questa situazione la ricetta che va per la maggiore è quella
liberista, in continuità con quella berlusconiana. Una scelta di
grande rispetto del mercato, di contenimento dei suoi effetti
peggiori, di devota filantropia e ovviamente di cecità o
ignoranza circa l'efficacia dei provvedimenti annunciati per
risolvere la “crisi”. Chi ne fa una questione di stile ovviamente
la conferma. E gli altri, i partiti, i movimenti ? I partiti della
sinistra, dopo essere stati per decenni collusi, tentano di farsi una
verginità riaccreditando le forme della democrazia
costituzionale. Lo fanno accettando una rottura di quelle forme,
l'investitura di Monti da parte del capo dello Stato, e al tempo
stesso riconfermandole nei loro rituali. Il tentativo di Rifondazione
di mettersi al passo delle “moderne contraddizioni sociali”
(gli appelli di Bertinotti al congresso di Rimini) è miseramente
fallito e questo esito non può essere giustificato con i vecchi
argomenti della litigiosità, della resistenza alla innovazione, del
conservatorismo della sinistra. Tutti questi attributi sono gli
effetti, non le cause, della perdita di identità e di ruolo di
questi partiti. La causa principale, troppo spesso sottaciuta (questo
si per conservatorismo) sta nel fatto che quelle forme della
politica non attraversano più i processi reali, non
danno/ricevono senso da quei processi. La realtà sociale conseguente
ad una sconfitta storica (il novecento del compromesso sociale) e
alla ennesima ri/forma del capitale (il neoliberismo), ha rotto le
vecchie forme e ne impone, dal suo interno, delle nuove. Non c'è
ovviamente nessun automatismo in tutto questo, ma l'intelligenza
politica e sociale che vi opera si esercita necessariamente nella
pratica di azioni costituenti e nei conflitti, non può
esercitarsi a tavolino o in improbabili revival.
I movimenti invece
nei processi reali ci sono. Nel contesto dato la loro parzialità
e impoliticità è solo apparente. Intanto è lì che ci sono i
materiali per una riforma della politica, o meglio, per una
rivincita della politica sull'economia neoliberista. Per il semplice
fatto che accompagnano la loro critica al sistema dominante con una
pratica sociale conseguente. Per il semplice fatto che la loro
critica si configura ormai come una cultura altra, come un
punto di vista non conforme, alternativo a quello dominante. Inoltre
questa pratica sociale sperimenta necessariamente una forma di
democrazia partecipata nonché una forma di rappresentanza che
è sovrapponibile alla sue proprie ragioni sociali (autogoverno,
assenza di delega). In quanto alla parzialità, alla difficoltà ad
accreditarsi tout court come soggetti politici, bisogna prendere atto
che si tratta di un percorso non ancora compiuto ma che può essere
completato solo fuori dagli schemi costituzionali, fuori dalle
esperienze di qualche decennio fa. Lo schema della divisione dei
compiti (al movimento il conflitto parziale, alla politica – i
partiti – l'intelligenza politica del progetto) è definitivamente
saltato. Adesso si dice che sono i movimenti a dettare l'agenda della
politica, può essere una prima tappa di un cambio di paradigma. In
ogni caso si tratta di cogliere il movimento dialettico dei processi
in corso, ciò che viene negato e al tempo stesso affermato.
Per esempio, un individualismo proprietario, competitivo e in ultima
istanza socialmente irresponsabile, a cui si oppone un
individualismo di persone padrone di sé stesse, cooperanti e
solidali, socialmente responsabili.
Quando si dice che è
l'economia che governa la società, si accredita un sistema che non
ammette un vero negoziato, un vero compromesso, non ammette
alternative, che non siano di sistema. In una mega-macchina le azioni
interagiscono necessariamente tra loro.
Per quanto riguarda il
Coordinamento, e il problema della casa, tutto un periodo segnato
dalla parzialità e dalla necessità di comporre in un progetto
politico in cui il problema della casa trovasse soluzioni negoziate e
coerenti con un generale progetto di riforma esterno/delegato al un
soggetto politico, si è chiuso non appena agli sportelli
dell'associazione si sono presentati i cosiddetti naufraghi dello
sviluppo. Cittadini/famiglie, spogliati dei loro diritti e
ridotti a pura forza-lavoro da usare nei processi di valorizzazione
del capitale. Cittadini/famiglie senza diritti, temporaneamente o
definitivamente fuori mercato secondo tempi e finalità totalmente
estranei al loro progetto di vita. Da quel momento la parzialità
è finita, perché il problema della casa è diventato un
problema di diritti negati, di lavoro ridotto a puro valore d'uso del
capitale, di welfare inesistente, di dominio della speculazione
immobiliare, di credito al consumo, di una organizzazione sociale
plasmata dai valori e dalla finalità del mercato.
In questo contesto
l'associazione non fornisce solo informazioni ma offre una analisi
sociale, una pedagogia, modi di pensare e di agire in cui la
settorialità è definitivamente superata, c'è qualcuno infatti che
ci attribuisce il ruolo di un partito. Ciò che rimane ancora
settoriale sono le pratiche sociali, i modi concreti di passare dalla
negazione di un diritto alla affermazione di quel diritto, dalla
filantropia alla risposta che aggredisce la cause strutturali del
problema. Ed ecco che vengono fuori tutti i temi impliciti nelle
nostre azioni, soprattutto in quelle non conformi. Non c'è niente di
irrazionale in tutto ciò, anzi c'è una lucida coscienza
politica. La necessità di passare dalle parole ai fatti non è
l'esito di un qualche rigore morale giacobino. All'incontrario, è
l'impossibilità di fare altrimenti che la muove. In questo senso
(dell'immanenza) gli atti hanno un carattere “costituente”,
vale a dire costituente di una nuova cultura, di una nuova forma
politica, di un nuovo progetto di società. Per ciò stesso gli atti
costituenti sono atti di disobbedienza civile; la presa d'atto che
non tutto ciò che è legale è giusto. Ai militanti
dell'associazione non sono mai mancate le ragioni, le capacità di
confrontarle senza rinunciarvi, l'idea di un compromesso. Ma un
compromesso sociale oppure semplicemente un dialogo e un confronto
implicano la presenza di due soggetti, fondati nella loro
autonomia, implicano uno spazio in cui sono possibili delle
convenienze reciproche, in cui si giocano delle prospettive non
necessariamente sovrapponibili.
La val di Susa è stata
catalogata come territorio militare dove qualunque forma di protesta,
anche quella più pacifica, è considerata reato. Si rischia la
galera. E' tornata di terribile attualità la domanda di Brecht è
più criminale fondare una banca o rapinarla. E' necessario muovere
l'auto/organizzazione della società.
21/11/2011
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