venerdì 10 settembre 2010

IN MOVIMENTO AD ALESSANDRIA


ALESSANDRIA UNO
L'appuntamento è per le 19,30 al Coordinamento, in Praia, per una azione di mutuo soccorso. Ce l'hanno chiesta i compagni/e di Alessandria. Uno scambio di cortesie, erano venuti ad ingrossare la nostra manifestazione di aprile. Sedici famiglie minacciate di sgombero da una palazzina di proprietà privata occupata da qualche mese. Molte donne e bambini, in maggioranza popolazione del nord/Africa. Una situazione più difficile della nostra in via Allende. Sappiamo per esperienza che i privati quando vogliono sgomberare un palazzo come quello, hanno deciso di accrescerne il valore mercantile. Sono dall'altra parte del problema, sordi ai nostri argomenti e ai nostri appelli umanitari. Privati associati in immobiliare. Gli spiriti animali del mercato all'opera. Il cinismo, l'opportunismo, valori organici. Situazione da manuale.

La manifestazione si fa per riaccendere un negoziato, prima che accada il peggio. Uno dei possibili interlocutori è il sindaco, per questo l'approdo del corteo sarà la piazza del Municipio. Rita aveva fatto le telefonate di avvertimento. Contattate circa trenta persone. All'appuntamento siamo in dodici, tra volontari, capi famiglia di via Allende e candidati ad uno sfratto esecutivo. Il campione è minimo ma rappresentativo. Alcuni raggiungeranno Alessandria per conto loro. Uno scarto che ormai diamo per scontato, perciò non ci deprime più di tanto. Non tutti sono disposti a fare militanza a tempo pieno. Alcuni non lo possono proprio fare, c'è chi ha un impegno di famiglia, chi sta lavorando. Insomma in questo genere di differenze è difficile mettere il naso. Quelli che condividono il nostro senso delle cose sono ancora troppo pochi. Personalmente penso che in questioni come la coscienza di sé e del mondo non bisogna avere fretta. Siamo solo all'inizio del cammino, dopo i rovesci che hanno spento la narrazione della stagione del compromesso sociale. Il pensiero unico ha trionfato e il suo soggetto, la possidenza. Bisogna insistere e sperimentare azioni di contrasto, non conformi.
E' quello che stiamo facendo. Chi tra noi non ha bisogno di razionalizzare troppo è Samuele. Per lui è importante l'azione, basta avere lo slancio, per andare oltre l'ostacolo. Luca è meno ottimista, un po' ansioso ma anche lui predilige l'azione. Io mi giovo del comportamento di entrambi. Oreste ultimamente è un po' afasico ma con i tempi che corrono non è facile aggiornare la teoria, ciò non gli impedisce di sostenere il nostro sodalizio. C'è chi ha un comportamento meticoloso e severo per tutte le questioni pratiche e lo tiene sotto traccia, rendendolo ancora più efficace, così rassicura tutti, è l'ottima Egle, come me appartiene ad un altra generazione. Quando decidiamo di salire in auto sono le otto, non possiamo aspettare oltre, i ritardatari si arrangino. Samuele conosce la strada e il luogo dell'appuntamento. Dopo aver parcheggiato facciamo un tratto di strada a piedi. Siamo nel quartiere Cristo. Mi tornano immagini di una manifestazione anni 70, una via Carlo Marx. Il paragone non regge, allora avevamo certezze, adesso “camminiamo domandando”.
Avevamo notato la presenza dei carabinieri nei paraggi, il sound/system del Crocevia era già ben udibile. Ci avviciniamo ad un assembramento illuminato da un centinaio di torce, non c'è nessuna tensione, il fumo leggero della pece che brucia inganna la vista e conferisce allo scenario un non so che di surreale. L'appuntamento è per la notte, nei pressi delle mura, siamo i battisti di Thomas Müntzer che diffondono l'eresia delle lotte contadine. Riconosciamo i compagni di Torino e di Novara. Sorrisi di piacere e di compiacimento. Il senso di appartenenza tranquillizza. Srotoliamo il nostro striscione, “il diritto alla casa non è in vendita”. Invece vendono da tutte le parti, anche edifici residenziali di proprietà pubblica. Prima le cartolarizzazioni di Tremonti, gli edifici di proprietà degli enti. Ad Asti 110 alloggi di proprietà dell'Inpdap, il nostro tentativo di sottrarre al mercato quelli vuoti (fallito). Adesso ci risiamo con il federalismo demaniale, l'annuncio di una nuova svendita di beni, l'intenzione di dare nuovo alimento alla speculazione immobiliare e alla cementificazione del territorio.
Qualcuno di noi afferra una torcia. Ne prendo una anch'io, è ben fatta, artigianale, corta, solida impugnatura, elsa di cartone per proteggere la mano dalle colate di pece. Il palazzo occupato è di tre piani, ben strutturato, in stile liberty, nella penombra si vedono gli ornamenti floreali, qualche inquilino è affacciato alle finestre e ai balconi. Claudio ogni tanto interrompe la musica per spiegare il senso dell'azione. Ci mette l'enfasi di un predicatore, scandisce a voce forte le frasi ad una ad una, con un ritmo inconfondibile, è quello del suo fiato corto che alla fine del corteo gli mancherà producendo al microfono bizzarre distorsioni. Sembra dire “liberate la rabbia ma fatelo con il gusto della poesia”. Le fiamme delle torce sono evocative e interrogano l'immaginario di tutti, ma non credo in un unico immaginario, e non ci è nemmeno dato di saperlo perché la voce è sempre la sua, adesso e durante il corteo. La città è praticamente deserta, le forze dell'ordine sono una presenza tutto sommato discreta, evidentemente sanno che questa sera l'azione è soltanto dimostrativa, è uno dei tanti tentativi che facciamo per rompere il continuum del loro spettacolo. Scuotere i cervelli colonizzati, spiazzare con gesti fuori dalle regole, far capire a chi ti guarda che non è solo uno spettatore. Come stiamo facendo questa sera.
Ci sono moltissimi giovani, donne e bambini dell'occupazione, compagni e compagne di altre situazioni simili a questa. Ci siamo noi. Non a caso. Sulla necessità di affrontare i problemi pratici, con l'intenzione di dare delle risposte subito, e di farlo con gli strumenti della democrazia partecipata, niente deleghe, niente de-responsabilizzazioni, i valori della solidarietà e dell'uguaglianza, su questo ci siamo. Infatti siamo qui, con le famiglie occupanti di via Allende, la nostra sperimentazione di un altro mondo possibile. Ci siamo anche sulla necessita di costruire un campo di relazioni in cui le diverse esperienze, le diverse intelligenze e sensibilità, i diversi slanci sentimentali, prendono più forza, entrando in risonanza, mettendosi in sintonia. Il fantasma del conflitto sociale, insomma. E' un percorso, ci diciamo sempre, ma non sappiamo quanto sarà lungo, non sappiamo quale corpo prenderà, sappiamo solo che non può essere un partito, non può essere una avanguardia. Quando faccio questa affermazione Oreste dissente, ma non c'è nulla di perentorio nelle sue affermazioni, lui sa che io parlo di una esperienza recente; io so che lui allude a qualcosa di originario, di radicalmente diverso dalla diaspora dei partiti comunisti. Io penso, probabilmente come lui che bisogna prendere dal passato della nostra storia quello che non si è realizzato, quello che è stato liquidato in forma di eresia, di azione ingenua, e farlo interagire con il presente; sentire come risuonano le parole della memoria, che suggestioni evocano, se pronunciate dentro la realtà di un conflitto moderno. Come questo, per il diritto all'abitare.
Ogni tanto salgo sul marciapiede oppure vado fuori dalla linea che segna la corsia. Si procede in modo disordinato, c'è chi chiacchiera, chi lancia qualche slogan, non c'è nessuna irreggimentazione. Le fiamme delle torce creano ombre viventi. Sono l'immagine dell'incertezza, del timore, la soglia dell'oscurità dei luoghi e delle anime, sono la nostra tranquilla inquietudine. I rassicuranti scenari familiari delle ore del giorno spesso ingannano, meglio le ombre della notte per capire che quel che appare non è il tutto. Chi dice che non si debba vivere con l'inquietudine? Sono dell'opinione che un pizzico di inquietudine fa bene al corpo e alla mente, aiuta a non farsi colonizzare e a rompere l'immobilità e il grigiore delle forme e delle formule.
Quando esco dai limiti del marciapiede, ci salgo sopra, o dai limiti della corsia, invado quella sinistra, un giovanissimo e oscuro militante mi invita con cortesia, quasi con dolcezza, a rispettare quei limiti. L'invito è sussurrato, non si fa notare. Mi vengono in mente gli ordini dati al megafono: formate le file ! Serrate le file !. Il corteo era interminabile (centomila, 50 mila reali), anni 70, via XXII marzo, Milano. Mi chiedo però come sono tracciati i ranghi in questo piacevole disordine. La prima volta acconsento senza replicare. La seconda volta l'invito mi coglie in tutta la sua stranezza. Non sarà un tipo bizzarro che tenta in questo modo di far coincidere la realtà con la sua fantasia ? Scusa perché ? “Dobbiamo mantenere la compattezza”. Obbedisco, ma non posso evitare di sorridere. Ricordo che quel corteo di Milano era attraversato da truci slogan, manifestazione pacifica ma armata (non ancora di pistole), quando dicevamo “sbirri” senza nessuna intonazione letteraria. Qualcosa (?) è andato storto. Ma questo è un altro discorso. Davanti al Municipio le invettive al sindaco e alla giunta si sprecano, inviti ruvidi ma sinceri di aprire il dialogo. Si fa vedere il solito consigliere di RC, solidarizza e si prende il solito incarico di mediatore. Ascoltiamo i compagni e le compagne di altre situazioni poi ce ne andiamo.


ALESSANDRIA DUE
Alla levataccia delle sei e trenta restiamo solo in sei. Per ragioni di lavoro Luca e Oreste ci raggiungeranno ad Alessandria più tardi. L'appuntamento era come al solito davanti al Coordinamento. Saliamo tutti e sei sull'auto di Samuele. Alla stazione di Alessandria carichiamo Pinuccia. Quando arriviamo sotto il palazzo c'è già un bell'assembramento. L'altra sera al buio gli striscioni appesi non erano ancora visibili, questa mattina colorano vistosamente il grigio dell'edificio. “Ora e sempre resistenza”, “Casa per tutti, sfratti per nessuno”, sono in alto sui balconi. Un altro è disteso lungo il muro che insiste sul marciapiede ed è un monito agli esecutori di un eventuale sgombero, “non scherzate con il fuoco, casa per tutti”. L'anonimo autore sa che il significato della frase deve essere colto con la grafica, infatti i colori sono densi, i caratteri esplosi. Tracce di pittura muralista. Qualcuno tiene in mano il casco da motociclista, qualcun altro indossa la kefia fino al naso, ma dall'altra parte della strada, sul marciapiede di fronte, non c'è nessuno che prepara l'assalto. Una decina di agenti della digos, si nota un funzionario donna, due vigili urbani, tre carabinieri. Il tempo passa, l'arrivo dell'ufficiale giudiziario è atteso per le nove, regolare orario di ufficio.
Io fotografo e faccio inchiesta, devo correggere qualche difetto di informazione. Intanto non si tratta di occupazione, ma di uno sfratto collettivo di sedici famiglie, sfratti per morosità. Osservo meglio l'edificio, non ci sono tracce di manutenzione recente, lo scenario del cortile è quello delle case di ringhiera. La scala sale da un piano all'altro lungo una struttura a torre, ogni ballatoio è aperto verso l'esterno da una arcata piuttosto ampia, i balconi che si allungano su tutto il perimetro interno del fabbricato hanno la funzione di spazi comuni, di accesso agli alloggi. Una struttura del primo novecento organica a relazioni di comunità. Un edificio bello ma al momento fuori dal mercato forte degli immobili. Quanto sia fuori invece da nuove relazioni di comunità è tutto da vedere. Gli inquilini sono in prevalenza famiglie di nord africani.
Arrivano due camion di carabinieri, manovrano discretamente e si mettono fuori vista. E' una presenza che mi preoccupa, li ho visti all'opera a Genova. Insomma a quel punto pare che dall'altra parte si preparino ad uno sgombero, azione violenta in grande stile. Le nostre relazioni con Questura e Prefettura sono state finora morbide, potremmo dire persino dialoganti e di collaborazione. E' una circostanza abbastanza paradossale constatare che i nostri “naturali” interlocutori, sindaco, giunta, assessorati, atc, siano meno sensibili e meno disposti al dialogo di funzionari di ps, digos, prefettura. La circostanza è un altro segno della crisi della politica di cui si parla, del prevalere della cultura dell'impresa su ogni altro valore sociale, di una inquietudine che attraversa anche i corpi delle stato. C'è all'opera un populismo di destra che annuncia sempre più minacciose azioni sociali, un populismo che non si è ancora fatto stato, dunque quella circostanza potrebbe mutare da un momento all'altro e riproporci le questioni di un confronto più ruvido.
Ma è una circostanza che ci permette di cogliere delle differenze, di cultura e di comportamento, che ci impedisce di fare di tutta l'erba un fascio, che ci impedisce di imprigionare in un ruolo impersonale le persone che compongono una certa categoria. Una attenzione che noi dovremmo coltivare in ogni caso, in primo luogo con quelli che riteniamo “la nostra parte”, non solo per una scelta di principio o morale ma perché ce lo impone questa fase storica, questa necessità di pensare un nuovo inizio in una realtà sociale e politica profondamente segnata dal neoliberismo e dal pensiero unico. Un esempio ? Le nostre relazioni con le famiglie di cultura islamica, sempre più numerose per le note ragioni, tra le categorie sociali che consideriamo “la nostra parte”. Siamo costretti a “camminare domandando” perché non siamo affatto sicuri che il senso che noi diamo alle cose (quindi c'è in ballo anche il linguaggio e l'immaginario) sia esattamente il loro senso. L'altra sera ero a cena con il nostro “storico” di via Allende e con il nostro valente cuoco Kouci, si erano fermati al tavolino delle firme (mantenere il carattere pubblico dei beni del demanio). La conversazione l'ho avviata io e anche questo particolare non è casuale e il tema era il nostro atteggiamento sentimentale nelle vicende che viviamo insieme. Io metto l'accento sui sentimenti e sulle azioni che seguono una ragionevole presa di coscienza di quel che accade nel mondo, un atteggiamento lontanissimo da qualsiasi fatalismo. Invece ho raccolto dal nostro “storico” una dichiarazione di fatalismo estesa all'intera storia degli uomini; storia che sarebbe sempre dominata dal potere del denaro, salvo brevi periodi in cui gli oppositori fanno tentativi di cambiare il mondo inesorabilmente destinati al fallimento.
Quando finalmente arriva l'ufficiale giudiziario accompagnato dai rappresentanti della proprietà, io avevo già fatto la mia piccola inchiesta parlando con alcuni inquilini donne. Gli alloggi sono stati affittati con gli impianti della luce e del riscaldamento fuori norma, inutilizzabili più per vetustà che per incuria, con canoni di locazione oscillanti tra 180 e 220 euro mese. Gli inquilini che se lo sono potuto permettere hanno fatto a loro spese i necessari interventi, compresa l'installazione del bruciatore per il riscaldamento, poi fidandosi di una intesa verbale con il proprietario, hanno cominciato a scalare gli affitti mensili dai costi del bruciatore. Dopo pochi mesi hanno avuto la notifica di uno sfratto per morosità. Gli altri inquilini hanno presumibilmente accumulato morosità in relazione all'andamento recente del mercato del lavoro. Meno lavoro, meno salario, nessun incentivo a preoccuparsi più di tanto dell'affitto di un alloggio vetusto e umido, poco più di una abitazione di fortuna. Tutto questo me lo ha raccontato una signora che con i figli, qualche parente e qualche amico affollava un secondo gruppo, molto più informale del picchetto antisciopero, fluttuante sullo stesso marciapiede per un andirivieni verso un vicino bar. Non risparmiava invettive e si appoggiava ad un contrappunto di commenti salaci di un'altra inquilina, anche lei incazzata, anche lei ingannata dal proprietario.
Intanto l'Ufficiale giudiziario e i rappresentanti della proprietà avevano raggruppato attorno a loro funzionari della digos e vigili urbani. La consultazione e la visione delle carte sono finite. Qualcuno fa cenno a Claudio perché si avvicini. Scatti di fotografie da ogni lato, la comunicazione nostra è importante, la controinformazione è importante. C'è ovviamente anche il fotografo della digos, quello filma a tutto spiano, è interessato dalla presenza di militanti provenienti da altre sedi. Ho avuto la tentazione di avvicinarmi, ho invitato Luca a farlo lui, gli abbiamo ormai riconosciuto una buona capacità di trattare, dialogare, cogliere l'appiglio per prendere tempo. Prendere tempo, un obiettivo di tutte le nostre azioni, in particolare il contrasto degli sfratti. Può sembrare solo un rimandare, certo non è la soluzione del problema collettivo ma è indispensabile per ottenere risultati e soprattutto per conoscere fin nei dettagli delle procedure e delle norme di legge, fin nelle particolari disposizioni d'animo dei protagonisti, come si sviluppa tutta la vicenda e quali echi rimanda rispetto alla generale situazione sociale e alle analisi che ne facciamo.
Quando Claudio attraversa la strada con il codazzo dei suoi interlocutori e si dirige verso le persone, i compagni, i volontari, gli inquilini del picchetto e due fabbri in tuta che intanto erano arrivati, si capisce che ci sarà un rinvio degli sfratti e che avremo altro tempo per trovare delle soluzioni. I passi sono quelli di una delegazione, tranquilli e misurati. Il picchetto non si apre subito, ci vuole una breve spiegazione e l'invito di Claudio. La tensione si scioglie, siamo in molti ad entrare nel cortile dell'edificio. Ci sono bambini che si rincorrono, altri lanciano richiami e sorrisi dalle ringhiere. I più piccoli sono in braccio ai loro padri, hanno delle esitazioni nel loro sguardo, non sono abituati a quella confusione ma poi, sollecitati da chi li osserva, distribuiscono sorrisi a questo e a quello.
Leggo un cartello “E' rigorosamente vietato giocare la palla nel cortile e sui ballatoi”, è in metallo rivertito di ceramica bianca, scheggiata qua e la, come i cartelli stradali che si trovano ormai solo dai rigattieri. E' inchiodato al muro dell'ingresso, in alto e non dice nulla a nessuno, non lo direbbe anche se fosse scritto in arabo. Scatto foto e guardo i volti, hanno tratti forti, lo sguardo è volitivo, è facile sovrapporli ai volti dei braccianti e degli operai di un celebre e straordinario reportage di Pasolini, è facile immaginarli esperti in varie manualità, operai, braccianti, muratori, piccoli commercianti, frequentatori dei mercati illegali. Ho sotto gli occhi un pezzo del “nuovo proletariato”, non un soggetto collettivo piuttosto una moltitudine con le tracce di storie individuali forti, come lo sono in genere quelle della immigrazione. Vite messe al lavoro attraverso procedure quasi impercettibili, in cui si perde ogni nozione di diritto, la prova evidente di processi di valorizzazione del capitale così flessibili da non aver nemmeno bisogno di misurare il tempo di lavoro della persona singola. Così quest'ultima quando rincorre le sue occasioni di lavoro e affina le sue personali capacità di orientamento (fiuta, intuisce), è ancora messa al lavoro dal capitale.
Prima che il picchetto si aprisse la maggioranza delle donne stava chiusa in casa, adesso sono quasi tutte in cortile, le giovani madri formano un gruppo con i bambini piccolissimi in carrozzella, c'è qualche nonna, c'è qualche conoscente venuta da un'altra parte della città, il loro dialogo è fitto, senza impennate di voce. Non è la separatezza che mi colpisce, gli uomini da una parte e le donne dall'altra, è la loro compostezza, la loro sobrietà, degli abiti e degli sguardi; mi fanno venire in mente le figurine del presepe. Ho conosciuto quelle di loro “emancipate”, più disinvolte nelle relazioni, più padrone della nostra lingua e dunque più disposte al dialogo, ma non perdono quella loro serietà, quella “disposizione dello spirito”. Le ho frequentate nella loro quotidianità domestica e alla fine di una discussione sul corano o sulla preparazione di un piatto di cibarie, la considerazione che mi viene da fare è sempre la stessa, loro hanno una cultura, hanno una visione del mondo, non amano fare astrazioni, noi spesso non sappiamo cosa contrapporre o ci contrapponiamo in modo artefatto.
Nel bel mezzo di queste riflessioni i più militanti scandiscono più volte lo slogan “la gente come noi non molla mai”. Ne ho urlati molti di slogan, non ne ricordo uno così, così indeterminato, una pura espressione di volontà.
Settembre 2010

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