Ha
torto ad indispettirsi la funzionaria dei Servizi Sociali, quando il
suo interlocutore le fa osservare che il secchiello con cui dovrebbe
prosciugare il mare del malessere sociale cittadino è pieno di
buchi. Non solo contraddice la sua avvenenza, ma mostra di non sapere
che funzionari ben pagati, di enti sovraordinati al suo, confermano
questa metafora. La Regione Piemonte per esempio, attraverso il sito
web dello “Osservatorio regionale della condizione abitativa”, fa
sapere che nel 2014 solo 8 aspiranti assegnatari su 100 in
graduatoria dell'Atc hanno ottenuto una casa popolare. Non deve
essere andata molto meglio negli anni precedenti e in quelli seguenti
chissà, visto che le rilevazioni si fermano al 2014. Sarà che la
legge 80/2014, quella che ha messo fine alla Erp e criminalizzato la
povertà, avrà anche sospeso le attività dello “Osservatorio”.
Comunque, per gli anni antecedenti il 2014 lo stesso “Osservatorio”
mostra a grafico sia le richieste di esecuzione degli sfratti, sia le
domande di casa popolare insoddisfatte. Le prime sono salite
vertiginosamente dalle 3700 del 2006, alle 8000 del 2014. Le seconde
sono salite con lo stesso impeto, dalle 16500 del 2006 alle 23000
circa del 2014. Cancellata dunque ogni illusione. E' dal 2006 che il
“bisogno abitativo insoddisfatto” cresce su se stesso,
annotandosi come “emergenza” nella parte di popolazione già
“fuori mercato” e come “disagio abitativo” nella parte di
popolazione che paga “al mercato” locazioni pari al 40 % del
reddito familiare. Il fatto che le due parti scivolino una nell'altra
e progressivamente si ingrossino, non è mai troppo rimarcato perché
sarebbe un segno inequivocabile di un fallimento e di una “questione
abitativa” non risolta.
Ma
l'indispettita funzionaria dia una occhiata all'ultima inchiesta sul
“fabbisogno abitativo”, commissionata da Federcasa (associazione
delle Atc di tutta Italia) a Nonisma (società di ricerca e
consulenza per imprese e pubbliche amministrazioni) e resa pubblica
in conferenza stampa nel marzo 20016. Vi leggerà
che nel mercato libero
delle locazioni gli
sfratti per morosità crescono al ritmo dell'8 % all'anno. Più
o meno con la stessa dinamica crescono, nelle case
popolari, la morosità sull'affitto e quella sulle spese. Fenomeni
che hanno la stessa origine, in una precarietà dei redditi che con
il passare degli anni si è
moltiplicata.
Infatti, precisa l'inchiesta, le
famiglie che
vivono in una situazione disagio abitativo, sono salite da 650mila
degli anni '90 a oltre 1,7 milioni nel
2014.
Ma
sono i giudizi a
commento delle rilevazioni che
dovrebbero far
trasalire la funzionaria. Vale
la pena di riportarli
integralmente perché,
confermando la metafora di cui si è detto, rovesciano l'indirizzo di
tutte le leggi scritte
e approvate per consegnare alla “razionalità ed equità del
mercato” il bisogno abitativo. E' stata una fatica di lunga lena,
dalla abolizione della
Gescal e dell'Equo
Canone
del 98,
passando per privatizzazioni,
fino alla
legge 80/2014. Eccoli
questi giudizi: “Serve
un piano Casa da 1,3-1,4 miliardi, per creare 150-200 mila alloggi di
edilizia residenziale pubblica”, "Bisogna
partire dalla dotazione
immobiliare esistente, utilizzare il patrimonio costruito"
(direttore
generale di Nonisma)
"Occorre intervenire nella rigenerazione urbana delle aree
esistenti e del patrimonio dismesso" (Talleri,
presidente Federcasa).
E a proposito del fondo
immobiliare di social housing (Cassa depositi e prestiti, banche e
assicurazioni): “Ad
oggi il fondo ha prodotto poco più di tremila alloggi su quasi
17mila deliberati. È una goccia nel mare (Talleri,
presidente Federcasa),
“Quel sistema non ha funzionato, è stato un fallimento e comunque
si rivolge a una utenza di fascia di reddito superiore rispetto
all'edilizia popolare” (Dondi,
direttore di Nomisma).
Chiacchiere, vien
da dire, il rovesciamento di quell'indirizzo l'hanno tentato i
movimenti di lotta per il diritto all'abitare di cui proprio ad Asti
è rimasta traccia (in quattro occupazioni) e memoria (in tutti
quelli che hanno partecipato a quell'esperienza). Ma questa è
un'altra storia.
E
adesso veniamo al “secchiello bucato” e più precisamente ai
soldi pubblici con cui sono stati finanziati le Agenzie sociali per
la locazione (ASLO) e il Fondo morosità incolpevole (FIMI).
Visto che questi strumenti di riduzione del danno (o di contrasto
dell'emergenza abitativa o di moderazione del disagio abitativo, che
dir si voglia) non hanno modificato di una virgola i termini
strutturali, della “questione abitativa”, a cosa sono serviti o,
più semplicemente, come hanno funzionato ? Per quanto riguarda Asti
siamo fermi ai dati forniti a gennaio del 2017 dall'avvenente
funzionaria e dal suo ineffabile assessore. Il finanziamento
regionale dell'ASLO e del FIMI ha portato nelle casse
dell'Assessorato ai Servizi Sociali 325.000 euro nel 2015 e 730.000
euro nel 2016. Un milione e 55.000 euro spesi per: a) ridurre da 90 a
45 le famiglie inserite nella graduatoria della emergenza abitativa;
b) interrompere la procedura di sfratto per morosità incolpevole di
82 famiglie; c) far uscire 109 famiglie da una situazione di disagio
abitativo. Al centro di queste azioni, a dispetto dei fini
dichiarati, c'è la libertà dei locatori (senza distinzione tra
risparmiosi pensionati, proprietari piccoli e medi, banche,
assicurazioni, immobiliari) di sottoscrivere contratti “a canone
concordato” (a norma della legge 431/98 sulle locazioni),
variamente e generosamente incentivati con soldi pubblici. Dunque, in
soldoni, un milione e 55.000 euro finiti nelle tasche di generici
“locatori”.
Si
impongono a questo punto alcune domande. Chi sono i locatari che
hanno sottoscritto 236 contratti a canone concordato ? Come si
collocano nel mercato immobiliare della città ? E come viene
monitorata l'efficacia sociale di quella spesa di denaro pubblico ?
Quei 236 (45+82+109) contratti a canone concordato sono stati
confermati all'esaurirsi degli incentivi ?
Carlo
Sottile
Asti
10/08/17
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