giovedì 10 agosto 2017

I SENTIMENTI DELLA CRISI

Ha torto ad indispettirsi la funzionaria dei Servizi Sociali, quando il suo interlocutore le fa osservare che il secchiello con cui dovrebbe prosciugare il mare del malessere sociale cittadino è pieno di buchi. Non solo contraddice la sua avvenenza, ma mostra di non sapere che funzionari ben pagati, di enti sovraordinati al suo, confermano questa metafora. La Regione Piemonte per esempio, attraverso il sito web dello “Osservatorio regionale della condizione abitativa”, fa sapere che nel 2014 solo 8 aspiranti assegnatari su 100 in graduatoria dell'Atc hanno ottenuto una casa popolare. Non deve essere andata molto meglio negli anni precedenti e in quelli seguenti chissà, visto che le rilevazioni si fermano al 2014. Sarà che la legge 80/2014, quella che ha messo fine alla Erp e criminalizzato la povertà, avrà anche sospeso le attività dello “Osservatorio”. Comunque, per gli anni antecedenti il 2014 lo stesso “Osservatorio” mostra a grafico sia le richieste di esecuzione degli sfratti, sia le domande di casa popolare insoddisfatte. Le prime sono salite vertiginosamente dalle 3700 del 2006, alle 8000 del 2014. Le seconde sono salite con lo stesso impeto, dalle 16500 del 2006 alle 23000 circa del 2014. Cancellata dunque ogni illusione. E' dal 2006 che il “bisogno abitativo insoddisfatto” cresce su se stesso, annotandosi come “emergenza” nella parte di popolazione già “fuori mercato” e come “disagio abitativo” nella parte di popolazione che paga “al mercato” locazioni pari al 40 % del reddito familiare. Il fatto che le due parti scivolino una nell'altra e progressivamente si ingrossino, non è mai troppo rimarcato perché sarebbe un segno inequivocabile di un fallimento e di una “questione abitativa” non risolta.


Ma l'indispettita funzionaria dia una occhiata all'ultima inchiesta sul “fabbisogno abitativo”, commissionata da Federcasa (associazione delle Atc di tutta Italia) a Nonisma (società di ricerca e consulenza per imprese e pubbliche amministrazioni) e resa pubblica in conferenza stampa nel marzo 20016. Vi leggerà che nel mercato libero delle locazioni gli sfratti per morosità crescono al ritmo dell'8 % all'anno. Più o meno con la stessa dinamica crescono, nelle case popolari, la morosità sull'affitto e quella sulle spese. Fenomeni che hanno la stessa origine, in una precarietà dei redditi che con il passare degli anni si è moltiplicata. Infatti, precisa l'inchiesta, le famiglie che vivono in una situazione disagio abitativo, sono salite da 650mila degli anni '90 a oltre 1,7 milioni nel 2014.
Ma sono i giudizi a commento delle rilevazioni che dovrebbero far trasalire la funzionaria. Vale la pena di riportarli integralmente perché, confermando la metafora di cui si è detto, rovesciano l'indirizzo di tutte le leggi scritte e approvate per consegnare alla “razionalità ed equità del mercato” il bisogno abitativo. E' stata una fatica di lunga lena, dalla abolizione della Gescal e dell'Equo Canone del 98, passando per privatizzazioni, fino alla legge 80/2014. Eccoli questi giudizi: Serve un piano Casa da 1,3-1,4 miliardi, per creare 150-200 mila alloggi di edilizia residenziale pubblica”, "Bisogna partire dalla dotazione immobiliare esistente, utilizzare il patrimonio costruito" (direttore generale di Nonisma) "Occorre intervenire nella rigenerazione urbana delle aree esistenti e del patrimonio dismesso" (Talleri, presidente Federcasa). E a proposito del fondo immobiliare di social housing (Cassa depositi e prestiti, banche e assicurazioni): “Ad oggi il fondo ha prodotto poco più di tremila alloggi su quasi 17mila deliberati. È una goccia nel mare (Talleri, presidente Federcasa), “Quel sistema non ha funzionato, è stato un fallimento e comunque si rivolge a una utenza di fascia di reddito superiore rispetto all'edilizia popolare” (Dondi, direttore di Nomisma). Chiacchiere, vien da dire, il rovesciamento di quell'indirizzo l'hanno tentato i movimenti di lotta per il diritto all'abitare di cui proprio ad Asti è rimasta traccia (in quattro occupazioni) e memoria (in tutti quelli che hanno partecipato a quell'esperienza). Ma questa è un'altra storia.
E adesso veniamo al “secchiello bucato” e più precisamente ai soldi pubblici con cui sono stati finanziati le Agenzie sociali per la locazione (ASLO) e il Fondo morosità incolpevole (FIMI). Visto che questi strumenti di riduzione del danno (o di contrasto dell'emergenza abitativa o di moderazione del disagio abitativo, che dir si voglia) non hanno modificato di una virgola i termini strutturali, della “questione abitativa”, a cosa sono serviti o, più semplicemente, come hanno funzionato ? Per quanto riguarda Asti siamo fermi ai dati forniti a gennaio del 2017 dall'avvenente funzionaria e dal suo ineffabile assessore. Il finanziamento regionale dell'ASLO e del FIMI ha portato nelle casse dell'Assessorato ai Servizi Sociali 325.000 euro nel 2015 e 730.000 euro nel 2016. Un milione e 55.000 euro spesi per: a) ridurre da 90 a 45 le famiglie inserite nella graduatoria della emergenza abitativa; b) interrompere la procedura di sfratto per morosità incolpevole di 82 famiglie; c) far uscire 109 famiglie da una situazione di disagio abitativo. Al centro di queste azioni, a dispetto dei fini dichiarati, c'è la libertà dei locatori (senza distinzione tra risparmiosi pensionati, proprietari piccoli e medi, banche, assicurazioni, immobiliari) di sottoscrivere contratti “a canone concordato” (a norma della legge 431/98 sulle locazioni), variamente e generosamente incentivati con soldi pubblici. Dunque, in soldoni, un milione e 55.000 euro finiti nelle tasche di generici “locatori”.
Si impongono a questo punto alcune domande. Chi sono i locatari che hanno sottoscritto 236 contratti a canone concordato ? Come si collocano nel mercato immobiliare della città ? E come viene monitorata l'efficacia sociale di quella spesa di denaro pubblico ? Quei 236 (45+82+109) contratti a canone concordato sono stati confermati all'esaurirsi degli incentivi ?
Carlo Sottile
Asti 10/08/17







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