L'idea
di resuscitare il centrosinistra cittadino, per esorcizzare i
fantasmi di una vittoria elettorale dei 5 stelle e della destra,
mettendo insieme un ceto politico che va dagli agenti dei poteri
forti, ai cascami del social/forum, passando per i se/dicenti
comunisti e riformisti, è quanto di più contraddittorio e
inverosimile si possa immaginare. Ciononostante i tentativi, qui come
altrove, si sprecano, accompagnati da una sconfortante, per non dire
inevitabile, sterilità di risultati. Tre o quattro leader che
competono tra loro, chi agitando una sorta di galateo del buon
politico, chi brandendo la propria personalità come una mazza, senza
fornire agli elettori una qualsiasi proposta di governo, uno straccio
di analisi, una agenda dei problemi da affrontare. D’altra parte,
come potrebbero, continuando ad occultare i caratteri, e sopratutto i
registi, di una crisi che non accenna a finire e di cui è vittima
ormai una larga parte della popolazione ? Viene in mente la commedia
di Fo e Rame “Tutti uniti ! Tutti insieme ! Ma scusa, quello non è
il padrone ?”
Purtroppo
non si tratta solo del profilo d’antan di questo o di quel leader,
sul quale adesso gli interessati, operano gli opportuni ritocchi, con
lo stesso disinvolto trasformismo dei loro referenti nazionali. Sono
le politiche neo-liberiste e dell'austerità, che vanno rovesciate o
almeno contrastate. E a ciò non servono mutamenti di scena tutti al
presente e un agire che ignora la forza costituente di tali
politiche. Il fatto da rimuovere, e con esso il ceto politico che ne
è stato il protagonista, è che, nell’ultimo decennio, nei
parlamenti nazionali e locali, le politiche neo-liberiste si sono
fatte legislazione, vincolo, costume, dispositivo di assoggettamento.
Cosicché oggi il mercato domina su ogni altra relazione sociale, la
disuguaglianza mina qualsiasi sviluppo, la democrazia si è corrotta.
Chi
ad Asti volesse opporsi, anche attraverso la rappresentanza, alle
politiche neo-liberiste, dovrebbe in via preliminare mettersi dalla
parte dei cittadini che hanno subito e subiscono il peggio di questa
crisi, giovani, disoccupati, senza casa, ceto medio impoverito. Non
con una dichiarazione di voto ma con con le azioni necessarie per
ricomporre la trama dell’interesse pubblico, dei diritti di
cittadinanza, dei beni comuni. In opposizione a quelli che si sono
prodigati a lacerarla, quella trama: l’imprenditoria delle grandi
opere e dei supermercati, le banche che hanno agito con quella, il
partito del mattone e, nel parlamento cittadino, gli ultimi agenti
dichiarati di quei poteri, il PD in primo luogo. E’ di quest’ultimo
la cosiddetta “guerra alla povertà”, vale a dire l’umiliazione
inflitta a poche decine di famiglie, selezionate con i criteri della
miseria più estrema, alle quali viene imposto un anno di lavoro
coatto. E’ l’assistenzialismo usato come strumento di
assoggettamento, quando invece si dovrebbe dichiarare la guerra alla
ricchezza, quella opaca e predatoria delle rendite finanziarie,
fondiarie, illecite.
Cinque
anni fa questo è stato il programma del “candidato senza volto”;
l’idea zapatista di un popolo oppresso che si riscatta da se,
rompendo il recinto in cui le oligarchie hanno rinchiuso per
depredarli, i beni comuni, vale a dire la terra, l’acqua, l’aria
e tutto ciò che può essere definito “la natura che si è fatta
storia”, in primo luogo la città, il suo territorio, le sue
funzioni, i legami sociali che ogni giorno annuncia.
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