Va
detto che nello scenario sociale e politico delle città
medio-grandi, non c'è alcun segno che mostri un venir meno della
cosiddetta “emergenza abitativa”. A prescindere dalle
analisi degli osservatori e dei soggetti sociali coinvolti, a
prescindere dalle potenzialità politiche del “movimento”, il
report periodico del Ministero degli Interni nonché i dati forniti
dalla locale Prefettura, mostrano che lo stillicidio degli sfratti
per morosità non si è fermato ma continua, con variazioni di
intensità, su tutto il territorio nazionale. Siamo dunque di fronte
ad un bisogno abitativo sempre più insoddisfatto. Dunque il problema
sociale in sé permane, semmai è diventato meno trasparente perché
il malessere che lo accompagna, sempre più costretto nella
dimensione privata, si risolve o si trasferisce lungo canali sociali
al momento difficilmente esplorabili. Due sono le cause, come
vedremo più da vicino, che hanno determinato questo stato di cose.
La sterilità politica del “movimento” e le politiche
filantropiche e di riduzione del danno, così estese e
istituzionalizzate (enti pubblici e il cosiddetto privato-sociale) da
funzionare, nei confronti della parte di popolazione “fuori
mercato” (ma non per questo esclusa dalle pratiche predatore del
capitale finanziario), come un dispositivo di assoggettamento.
Non c'è dunque nulla di pacificato, soprattutto perché le cause
strutturali dell'emergenza non sono rimosse e rimandano, come in un
caleidoscopio, agli altri aspetti della presente “crisi”, ben
radicati nelle contraddizioni del mercato e del capitale finanziario:
la precarietà dei redditi e, nelle realtà urbane, un
assetto della proprietà immobiliare incompatibile con l'esercizio
dei più elementari diritti di cittadinanza. La realtà è sempre
più quella riassunta nello slogan “famiglie senza casa e case
senza famiglie”. Addosso a questa realtà urbana e in assenza di
conflitti politicamente forti, si sviluppano altre pratiche
mercantili, variamente localizzate e definite - la gentrificazione,
la monocultura, i quartieri fortezza, il social housing - che
orientano lo scenario urbano secondo le dinamiche del profitto e
della rendita. Vale a dire, la città non è più di chi l'abita,
non è più il luogo che accredita diritti e si riconosce in una
comunità.
venerdì 18 novembre 2016
sabato 5 novembre 2016
CHI COMPRA CHI
Ancora
una volta i giornali annunciano un possibile acquirente dell'edificio
di via Orfanotrofio e ancora una volta la notizia è accompagnata
dall'assoluto silenzio sulla presenza nello stesso edificio da dodici
famiglie, che vi domiciliano da sei anni, dopo averlo “occupato”
perché sfrattate senza alternativa abitativa.
Nel
frattempo sono andate deserte due aste pubbliche, due sindaci hanno
fatto pervenire una ordinanza di sgombero ciascuno, l'associazione
che ha accompagnato le famiglie in questo percorso “fuori legge”
ha aperto quell'edificio all'interesse della città. Così, decine di
iniziative pubbliche condotte dal “collettivo della ex mutua” e
dal Coordinamento Asti-Est hanno provato ad accreditare un progetto
di recupero che tenesse insieme il diritto all'abitare delle famiglie
“occupanti”, il proposito di sottrarre alla speculazione
immobiliare un edificio di proprietà pubblica, l'idea di
ricongiungere la storia dello stesso edificio alla “casa dei
metallurgici” che era stato negli anni 20, prima che i fascisti
decidessero di sottrarlo a quell'uso.
Tutte
azioni che hanno mancato il loro scopo, non solo ignorate dagli enti
pubblici, in primis l'Assessorato ai Servizi Sociali e la Questura,
ma prese a pretesto per negare la legittimità della “occupazione”,
contenerla nel recinto di una legalità senza principi, ridotta a
puro riflesso d'ordine, impedire che le famiglie “occupanti”
fossero riconosciute, attorno a quel progetto, un interlocutore
collettivo, portatore di diritti di cittadinanza.
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