Mercoledì
5 novembre, sono le 8,30. In via sant'Evasio 57 sono preceduto
dall'ufficiale giudiziario. Gli annuncio che non c'è alcuna
soluzione, esattamente come al momento del rinvio di ottobre. La
ricerca di un nuovo proprietario, che pure c'è stata, ha solo messo
in evidenza lo spirito di rapina della categoria nonché
l'irrilevanza delle risorse dell'Assessorato. !200 euro per pagare un
avvio alla locazione, non si trovano. “Subito” è l'avverbio che
immobilizza Assessorato e nuovo proprietario.
Sono
presente solo per testimoniare quello che accadrà. Via via arrivano
sulla scena tutti gli altri. Io so che l'incontro è sospeso sopra un
aspro conflitto sociale che qui ha solo una puntiforme verifica.
Anche altri tra i presenti lo sanno e lo vogliono esorcizzare. Durerà
tre ore, questo incontro, prima sulla strada, poi nell'abitazione di
H. Alle 9,30 arrivano sono quattro agenti della Digos, più tardi li
raggiungeranno due colleghi della PS. C'è l'avvocato della
proprietà, ci sono alcune persone solidali con H. C'è ovviamente H.
con il figlio più grande. Frequenta l'università, è più
controllato del padre. Non sono sereni. La loro domiciliarità è a
rischio. Mi viene in mente che per il papa la casa è sacra, come la
terra e il lavoro. Letto in questi giorni.
Parte
una discussione. Tutti gli aspetti della questione vengono
riesaminati: la condizione sociale dell'inquilino, il reddito che
percepisce, il suo stile di vita. Quasi un processo. Osservo che non
è colpa dell'inquilino se nella fabbrica in cui lavora hanno
dimezzato i salari. “Per ragioni di mercato”, hanno detto.
L'avvocato della proprietà replica cercando di demolire il profilo
morale di H.: “ha dichiarato il falso nell'accertamento Isee”,
“ha rifiutato le offerte di locazione che gli sono state fatte”.
Mi incazzo: “non è compito suo accertare l'Isee dell'inquilino”,
“confermi invece, come finora non ha fatto, di aver avuto 1200 euro
dal Comune per il rinvio di luglio”. Siamo al limite della rissa.
L'ufficiale giudiziario è infastidito. I Digos dichiarano di dover
procedere. “Ognuno si prenda le sue responsabilità”, dico io e
aggiungo che non ho nessuna intenzione di confermare la violenza di
Stato che si annuncia. Seguono lunghi momenti di incertezza. Piove.
Nessuno tra i fautori a vario titolo delle sfratto, ha voglia di
tirar giù le valigie dal quarto piano.
Le
valigie sono sei persone e tra queste tre minori con meno di dieci
anni, tutti in età scolare. Parte una ridda di telefonate. Ai
giornalisti, le mie. Le altre agli alti gradi della questura, ai
Servizi Sociali. Che si fa ? Mi consulto con le persone solidali con
H. Impediamo l'ingresso allo stabile ? La domanda resta senza
risposta. E' evidente che siamo troppo pochi. Digos, Ps e ufficiale
giudiziario decidono di salire. Sono le 10,30. Tutti in fila come
fanti. Filmo tutto senza essere ostacolato. I giornalisti non
arrivano. Sopra, al quarto piano, la tensione si taglia con il
coltello. I digos filmano, spiegano per l'ennesima volta a H. i
limiti in cui sono costretti ad agire. Ma ad agire cosa. Tra i
presenti nessuno ancora lo sa.
H.
lo teme e con una reazione di collera e di angoscia rompe la gabbia
di questi preliminari sospesi tra la violenza di Stato e la paura di
subirla o esercitarla. E' una imperiosa richiesta di rispetto. Urla,
implora, rivendica, allargando le braccia in un gesto che raccoglie
tutti, dagli intrusi ai figli. Rovescia il tavolo del soggiorno dove
tutti si affollano. C'è chi teme che H. si butti dalla finestra. Una
voce: Chiudetela ! Da quel momento i Digos non hanno più nulla da
spiegare, si prodigano a tranquillizzarlo, chiedono per telefono
l'intervento dell'Assessorato. Sono costretti in bilico sul loro
ruolo.
Riparte
la discussione in attesa che dai Servizi Sociali qualcuno si faccia
vivo. L'avvocato della proprietà si mette in disparte. Forse si
vergogna. Gli altri hanno voglia di sentirsi umani. C'è in ognuno un
residuale senso di giustizia. Chi lo rincorre nelle letture, chi nel
giudizio politico. Faccio la mia parte in questo bla, bla, bla
liberatorio. Sorpresa, il rammarico è generale. Penso che tutto ciò
sia grottesco. Ad un passo c'è un sofà di foggia araba. Su quello
ci sono tre bambini, avvolti in coperte e ammutoliti. La donna di
casa si è chiusa in cucina. Tutela la sua dignità, penso.
Finalmente
dai Servizi Sociali qualcuno si fa vivo. Sono le 11,30. Passaggio di
telefono dalla Digos, all'Ufficiale giudiziario. Temo l'irricevibile.
L'unica soluzione accertata ieri, una stanza al Maina. Invece esce il
coniglio dal cappello. Un alloggio, a San Grato di Sessant. Dove il
Comune convenziona con un privato l'uso di alcune unità abitative.
La tensione si scioglie. Il rinvio dello sfratto a lunedì e quasi un
automatismo. Per H. giusto il tempo di fare trasloco. Digos e Ps
salutano e se ne vanno.
Accompagno
H. e suo figlio più grande in Assessorato. Ci dicono che l'alloggio
è su due piani, per cinque persone. Ci sarà un aiuto per
trasportare i mobili. H. dovrà arrangiarsi a portare i bambini a
scuola. Sa già che potrà farlo solo nella settimana che lavora.
Lavora una settimana si e una no. Tace. Interrogo la funzionaria
sulle prospettive. Ci sono altre 120 emergenze abitative. Oltre i
rinvii, finanziati con denaro pubblico, c'è il vuoto, nessun
alloggio. Oppure ci sono situazioni come quella appena descritta.
L'attività dell'Agenzia Casa del Comune è sospesa, in attesa delle
nuove norme regionali. Ancora più difficile trovare proprietari
disposti a sottoscrivere contratti di locazione con inquilini che
dispongono di redditi modesti o precari.
Evidentemente
nel “palazzo” continuano a sognare la ripresa del mercato
immobiliare e un felice incontro tra domanda e offerta di abitazioni.
Un sogno già svanito nella residualità della edilizia residenziale
pubblica, nelle briciole della filantropia privata, nelle politiche
dell'austerità che nel “palazzo” hanno trovato fedeli esecutori.
Un
volontario del Coordinamento Asti-Est
Asti
07/11/14
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