giovedì 8 settembre 2011

La questione abitativa in tempo di crisi


La questione abitativa in tempo di crisi non ha più nulla di “settoriale”. E' un indicatore di un più generale malessere sociale. Dominio del mercato (mai declinato in modo così feticistico), del capitale finanziario, conseguente restringimento o negazione dei diritti (costituzionali e non) e delle pratiche democratiche, ecco come è nato questo malessere. Quando diciamo: le occupazioni e i contratti degli sfratti sono necessitati (lo ha detto persino un giudice) prendiamo atto di una situazione in cui si è chiuso uno spazio pubblico di tutele, di negoziato e di democrazia partecipata; una situazione in cui un nuovo spazio pubblico deve essere riaperto e può essere riaperto solo con atti costitutivi di una nuova sovranità. E' la situazione in cui si trovano tutti i movimenti; è la situazione in cui maturano le relazioni di “mutuo soccorso”. Una relazione di “mutuo soccorso”, questo vuole essere l'assemblea del 22.


Il diritto all'abitare negato. Gli sfratti esecutivi che si annunciano tra il 18 novembre e il 9 gennaio (solo quelli accompagnati dal Coordinamento, una minoranza del totale) sono 10; colpiscono famiglie con minori. Precisamente:
Miki Kalid, Corso Casale 113, 18/11, ore 9 (4 persone di cui 2 minori)
El Tori, Corso Gramsci 143, 18/11, ore 9,30 (4 persone di cui 2 minori)
2 famiglie, Corso Volta 149, 30/11, ore 8,30 (tutte famiglie con minori)
4 famiglie, Corso Volta 151, 1/12, ore 8,30 (tutte famiglie con minori)
(famiglie di Corso Volta complessivamente 12 minori in età scolare e non)
Lamaharkas, strada Sesia 36, 14/12, ore 9
Makoussi, Mombercelli, 9/1, ore 9,30

Le alternative: nessuna. I rinvii della esecuzione ottenuti con i contrasti (le famiglie sono tutte al 2° o 3° rinvio) per avere il tempo di ricercare una soluzione, non sono approdati a nulla. Non sono approdate a nulla le famiglie la cui ricerca di un nuovo contratto di locazione si è infranta contro le note asprezze del mercato (non c'è più nessuno che offre locazioni senza le note garanzie, tra queste quella non esigibile è in contratto di lavoro a tempo indeterminato). Non è approdato a nulla l'assessorato ai servizi sociali, avendo una disponibilità di alloggi popolari residuale e la nuova foresteria (Maina) con i cinque posti disponibili già esauriti.

Il dialogo con l'ente pubblico. Tutti i tentativi di portare ad un tavolo partecipato l'emergenza abitativa e soprattutto le cause strutturali di questa emergenza, agiti da una pluralità di associazioni (Caritas, Coordinamento, Sindacati degli inquilini, ecc) e caldeggiati dal Prefetto, sono falliti. Si trattava di aprire una prospettiva ad azioni di tutela del diritto all'abitare, fuoruscendo necessariamente dalla ordinaria amministrazione (requisizioni, conferma del carattere pubblico di alcuni edifici, la verifica di disponibilità alloggiative nei comuni della provincia....). L'assessore ha boicottato questi tentativi, con riflessi d'ordine, con atteggiamenti xenofobi, confermando l'ordinaria amministrazione delle attività del suo assessorato e rifiutando di gestire l'emergenza secondo le regole della legge regionale. Il censimento delle emergenze, unica concessione dell'assessore, è avvenuto senza precisarne criteri e scopi, per cui il n° di 50 è solo un indice di una emergenza abitativa assai più diffusa, sotto traccia, di cui peraltro c'è una significativa presenza, mai rilevata, nelle graduatorie del bando.

Le azioni necessitate. Le occupazioni e i contrasti degli sfratti. Il problema del diritto all'abitare e un aspetto del più generale problema sociale di questo tempo di crisi. Le famiglie sono naufraghe di uno sviluppo distorto, loro malgrado; sono le prime vittime di un mercato del lavoro senza diritti, di un mercato immobiliare altamente speculativo e di una politica della casa popolare inesistente. Non si paga l'affitto, dopo anni di normalità, perché è più difficile e oneroso saccheggiare un negozio o rapinare una banca. In una situazione come questa i contrasti e le occupazioni sono “atti necessitati” da una condizione sociale insostenibile e dal tentativo di uscirne con razionalità e responsabilità. Si è aperto il capitolo di ciò che è legale ma non è giusto, il capitolo della necessità di un ampio movimento di disobbedienza civile. Distinguere tra illegalità e disobbedienza civile è un passaggio importantissimo di queste azioni. Intanto però, con le occupazioni, si è ricostruita la “residenzialità” di 17 famiglie, si sono tutelati per più di un anno i rapporti primari delle famiglie e i legami sociali con la città (in via Allende le famiglie sono 6 e i minori sono 12; in via Orfanotrofio le famiglie sono 11 e i minori sono 19).

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