La famiglia di Simon ha già fatto l'esperienza della comunità alloggio. Per anni è filato tutto liscio, condizione imprescindibile un lavoro retribuito, anche se modesto e intermittente. Poi questa condizione è venuta meno, per ragioni di mercato. Si è fidato del suo imprenditore, un capocantiere molto noto in città, che per qualche mese gli ha pagato un regolare salario da muratore, poi l'ha fatto lavorare con la promessa di pagarlo. Simon si è rivolto al sindacato, quest'ultimo ha aperto una vertenza per seimila euro di salario non pagato. La vertenza è ancora aperta, quei soldi Simon non li ha ancora visti.
Quando si deve campare con moglie e figli il costo del cibo lo si sottrae all'affitto. Il padrone di casa per quanto tollerante prima o poi affida ad un avvocato il suo tornaconto. Arriva la convocazione del giudice, prima i termini di grazia poi la conferma dello sfratto per morosità, l'esecuzione. I rapporti mercantili si regolano così, con il cinismo necessario per “non perderci”. A Simon è accaduto questo e il seguito, cioè il richiesto intervento dei Servizi Sociali, è stato un discutibile, e purtroppo frequente, esercizio di tutela dei minori, vale a dire la moglie e i figli in una comunità alloggio, Simon che si arrangiasse.
Un intervento per ridurre il danno all'incontrario, una vera minaccia ai legami familiari che sconta la mancanza in città di una comunità alloggio per famiglie. Il welfare è costoso, richiede soldi e professionalità e un contesto culturale adeguato. Adesso non c'è nulla di tutto questo anzi, “se sei povero è colpa tua e le tutele le considero azzardi morali. Devi farcela da solo.” Possono essere le parole di un qualunque funzionario del Comune.
Con moglie e figli ospitati in una comunità di Frinco, Simon si è arrangiato e per due mesi ha dormito sotto una serra, un riparo dalla pioggia offerto da un amico agricoltore. Quando la sua emergenza abitativa è stata finalmente riconosciuta ha avuto in assegnazione provvisoria l'alloggio di via Malta. Una camera e servizi per quattro persone, da quel momento Simon ha sempre dormito su una branda in cucina, ha dovuto calcolare quante volte usare l'acqua calda, ha dovuto centellinare su tutto, al gas di città ha preferito la bombola, insomma ha tenuto i consumi sotto controllo. Ha sperato, incautamente, che quella assegnazione diventasse in qualche modo definitiva. In fin dei conti ha sempre pagato regolarmente il canone e le spese, una cifra modesta 70 euro/mese circa, proporzionata ai suoi redditi. D'altra parte non avrebbe potuto permettersi di più. Il salario che percepiva dalla cooperativa “Senza Confini” era troppo basso per consentirgli l'accesso al mercato delle locazioni. Percepisce ancora quel salario, con un contratto che si chiude a luglio, dai Servizi Sociali ha ottenuto la mensa scolastica e i trasporti gratis per i figli. La cooperativa lavora per il Comune alle aree verdi e questa circostanza da esattamente l'idea di una persona che viene usata per finalità che gli sono completamente estranee.
Un caso come tanti altri, una famiglia che può soddisfare il proprio bisogno abitativo solo con una casa popolare. Simon vede il suo problema, vive con ansia il rischio di perdere l'alloggio che abita, condivide con la moglie quest'ansia. Capisce che vogliamo aiutarlo, immagina che il nostro aiuto possa essere risolutivo. Gli proponiamo un percorso da fare insieme, noi, lui e gli altri che hanno il suo stesso problema. Cerchiamo di fargli capire che la filantropia o il clientelismo possono essere la soluzione per qualche famiglia, non per tutte. Se l'abitare è un diritto, dobbiamo esigerlo per tutti. E' con questo spirito che organizziamo il presidio, per fare dell'appuntamento con l'ufficiale giudiziario un evento di denuncia pubblica, per stringere d'appresso i funzionari degli enti, per opporci anche fisicamente allo sgombero. Lo sgombero è un evento drammatico e chi lo esegue preferirebbe farlo senza testimoni, perchè mostra quale esercito si muove a difesa della proprietà fino a negare il diritto all'esistenza, quanti ruoli si confermano come nemici delle persone, quanto falso moralismo e quanta ipocrisia fanno da velo ai rapporti mercantili.
Alle otto e mezza siamo al 35 di via Malta. Io Simon e un vicino di casa di Simon, conosciuto in queste circostanze, anche lui assegnatario di un alloggio parcheggio. Le case popolari di via Malta sono un tozzo edificio a quadrilatero, avvolto su se stesso e intorno ad un cortile affollato di auto, di contenitori per la raccolta differenziata dei rifiuti. Nelle ore serali e di notte è popolato di topi e di persone naufraghe della vita. Insomma, il peggio delle case popolari di Asti con poca manutenzione e con vistosi segni di degrado. Sia l'architettura che la composizione sociale sembrano fatte apposta per sperimentare ogni forma di marginalità, e renderla irrecuperabile. Insomma, la cosa giusta sarebbe demolire l'intero fabbricato.
Aspettiamo per un pò l'arrivo degli altri volenterosi, quelli che avevamo chiamato all'appuntamento con una riunione fatta qualche giorno prima. Arrivano alla spicciolata, Egle, Luca, Idris con i suoi compagni di Villafranca, poi Michele. Appendiamo lo striscione al balcone, terzo piano, vista sul cortile, dice che “la casa è un diritto”. Mi viene in mente che nella stessa scala, forse allo stesso piano avevamo già contrastato fisicamente uno sfratto. Arriva Roberta, scrive un testo di solidarietà e vorrebbe farlo sottoscrivere. E' loquacissima e informatissima. C'è una urgenza in quello che dice e fa che tradisce un malessere che gli conosco. Non è il momento di parlarne. “Ti ricordi Petruzzelli ?” Eravamo un bel mucchio compatto, a tenerci per le braccia contro la porta di ingresso per impedire che gli sbirri la aprissero e agguantassero l'inquilino Petruzzelli. Il piccolo pianerottolo era tutto occupato fin sulle scale della rampa a salire e della rampa a scendere. C'erano molte donne del quartiere, incazzate e con l'invettiva facile. Insomma quel mattino, verso mezzogiorno, il cortile era affollato di auto della polizia, la digos e i carabinieri. Poi se ne sono andati tutti, eravamo contenti di aver vinto. Sono tornati la mattina dopo all'alba, quando nel cortile c'erano sono solo i topi.I vicini hanno notato lo striscione e la nostra presenza. Qualcuno che già conosciamo si avvicina, altri ci salutano dal balcone, hanno la stessa nostra memoria. “Cosa fate qui ? Sfrattano una famiglia !!" Diamo spiegazioni e diciamo la nostra pedagogia. "Ciao Carlo”, non ricordo chi sia, non è giovane, le linee del volto marcatissime, ricambio il saluto con un tocco sulla spalla, “bisognerebbe menare” gli dico, annuisce, ci siamo capiti anche questa volta. Arriva il fotografo, Costante, fa le foto del balcone affollato. Arriva la giornalista, Daniela, sale in casa, simpatizza con i bambini come sempre. Intervista Simon e lui le racconta tutta la storia. Il fotografo e la giornalista se ne vanno.Intanto le ore passano e ci domandiamo perché tardano tanto. Arriva qualcuno con un foglio in mano, ce lo mostra. Ha impresso in alto a destra il logo dell'atc, sotto c'è l'indirizzo di Simon, l'ora di un appuntamento, le 12 e 30, e una istruzione, cambiare la serratura della porta di ingresso. E' il fabbro che accompagna i funzionari dello sgombero. La sua presenza non è certo tranquillizzante, ha la stessa faccia di Simon, la sessa espressione mite e onesta, parla la sua lingua, come lui sta facendo un lavoro per campare e che in quel momento non farebbe.Faccio due telefonate, prima ad un funzionario del Comune poi ad uno dell'atc per capire che intenzioni hanno. Lo sforzo che faccio per essere dialogante mi costa parecchio, ho il battito cardiaco accelerato. Pronuncio frasi di cortesia che corrono via sull'etere, non so se dall'altra parte si accorgono che sono velenose come il bacio di giuda. Corre anche il mio immaginario, in folle tumultuose armate di forconi che travolgono i bastioni dell'ingiustizia. Dal Comune mi dicono che loro non saranno presenti. “Fatemi capire, state mettendo l'ufficiale giudiziario nelle condizioni di dover rinviare lo sfratto ?” La risposta è una mezza ammissione. Dall'atc ci dicono di essere intenzionati ad eseguire lo sfratto e ci fanno notare che l'inquilino è moroso di 350 euro. “Simon, dicono che sei moroso di 350 euro”. Ci spiega che 200 li ha già pagati, ha la ricevuta ma non compaiono nei conti dell'atc perché i tempi burocratici dell'Agenzia e dell'amministratore non sono sovrapposti.Riferisco agli altri. L'impressione di tutti è che stanno facendo a scaricabarile e stanno mettendo in scena il relativo copione. Li aspettiamo, siamo tutti nell'alloggio di Simon, alcuni in osservazione dal balcone. Alle 12, 30 arrivano due impiegate dell'atc. Le osserviamo dall'alto subire l'impatto di due inquilini che approfittano della loro presenza per dolersi di ogni cosa. E il fabbro che fine ha fatto ? Dopo mezz'ora arriva l'ufficiale giudiziario. Lo conosciamo, è una persona rigorosa, che sa quel che fa. Presentazioni e strette di mano. Intuiamo che ha il telefonino scarico perché prende quello che gli porge un'impiegata dell'atc. Evidentemente vuole avere conferma delle reali intenzioni dell'Agenzia. La telefonata è lunghissima, presumiamo con il direttore amministrativo. Viste dall'alto, nello stesso scenario di auto in sosta e file di cassonetti dell'immondizia, sembrano ipiccole e innocue, come il gatto che attraversa il cortile, “che è più piccolo dei topi che lì sono di casa”, mi ha appena detto Roberta. Dietro il nostro striscione, che sventola come una bandiera, noi forse appariamo a loro meno innocui. Dopo un po salgono. Facciamo spazio. Attorno al tavolo della cucina ci siamo io e Michele seduti, Simon in piedi, l'ufficiale giudiziario seduto, le due impiegate dell'atc in piedi chiaramente estranee a quel sodalizio improvvisato. Egle è di la, con la mamma e i bambini.Non si parla delle vere cause di tutto questo. Il problema, per i funzionari del Comune e dell'atc è come far stare dentro ad una norma, ad un cavillo di legge, la negazione di un diritto. Per l'ufficiale giudiziario invece il problema è come eseguire lo sfratto, con l'intervento degli sbirri se occorre, avendo ottenuto dal comune uno straccio di tutela abitativa per la madre e i figli. Davvero uno scontro tra signori (si fa per dire) con i funzionari del comune più spregiudicati che mai, “lei esegua lo sfratto, noi interverremo a sfratto eseguito, bisogna evitare che ne approfittino.” Le frasi non giungono direttamente al nostro orecchio, le spilliamo dalle repliche compostissime dell'ufficiale giudiziario, solo alcuni battiti delle ciglia, più lunghi degli altri, tradiscono il suo disappunto. Questa nobile disputa per telefono dura più di un'ora, con pause che sono riempite dal nostro silenzio. Proviamo a darci conforto con gli sguardi. Qualche riflesso di umanità, qualche bagliore di indignazione, rendono lo scenario meno surrealeDall'altra parte dell'etere si consultano, ci sembra di capire, con i direttori. Per Simon e i suoi familiari, che ogni tanto fanno capolino dalla stanza in cui si sono chiusi, un'ora e più di dramma annunciato, una tortura. Finalmente, ma sono quasi le 14, l'ufficiale giudiziario ha la certezza di non poter disporre delle tutele richieste, l'atc ha fatto sapere di essere favorevole ad un rinvio, viene messo a verbale il rinvio, all'otto di settembre. La tensione si scioglie, l'ufficiale giudiziario ammette di non essersi mai trovato in questa situazione, si domanda perché mai si vuole accrescere il danno di una famiglia così bella e normale. Michele ha parole di stima per lui. Idris saluta e se ne va con i suoi, Simon ci offre un te, siamo tutti sfiniti, gli chiediamo di rimandare a domani la cortesia.
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