La nostra ostinazione
nell'argomentare ciò che facciamo, è nota a tutti i nostri
interlocutori. Inoltre per evitare ogni astrazione mettiamo a
confronto i nostri argomenti con i bisogni, le speranze e i drammi,
nonché i pregiudizi e la falsa coscienza, di chi si affaccia ai
nostri sportelli di segretariato e poi, accettando la nostra
pedagogia, ci accompagna. L'abbiamo chiamata pedagogia della
partecipazione consapevole. E' per questo che le nostre “occupazioni”
non sono bivacchi o l'esito di un malessere fuori controllo oppure
azioni avventate di chi ignora il contesto. Sono invece progetti
razionali e condivisi, assunzioni di responsabilità (comprese quelle
che derivano dalla disobbedienza ai codici, abbiamo sei processi in
corso), azioni pre/meditate e necessitate in un contesto dove i
poteri dominanti si sono prodigati, nel corso di 20 anni, a negare
diritti della persona e sociali. Questo è il tempo presente, queste
sono le “occupazioni”, non altre. Basta un minimo di onestà
intellettuale per riconoscerle.
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