La famiglia di cui si è
discusso, ieri sera, nell’assemblea degli occupanti e delle
famiglie sotto sfratto ci era già nota. Lui, Choundi Said, opeaio
edile, con una normale storia di lavoro fino al 2012, poi una
disoccupazione che non ha avuto termine, una figlia minore di 4 anni,
una moglie incinta.
Quando abbiamo
contrastato lo sfratto, al quarto accesso – i precedenti ottenuti
con il contributo economico del Comune – il capofamiglia aveva già
percorso tutta la strada delle incertezze e delle vane attese di chi,
trovandosi improvvisamente privato di un reddito da lavoro, si
rivolge ai vari sportelli della filantropia pubblica e privata. I
funzionari e i loro dirigenti del Centro per l’impiego, dei Servizi
Sociali e della Caritas presumono di poter offrire qualcosa di più
di un atto filantropico o compassionevole. E’ vero, ma quel
qualcosa di più sono solo annunci di politiche sociali e della casa
che non vengono mai attuate, di cui non si vede alcun presupposto.
Diversamente, non si arriverebbe a proporre ad una famiglia come
quella del signor Choundi Said, vittima di una crisi di cui non
condivide alcuna responsabilità, la sua dissoluzione. Mittente della
proposta l’assessorato alle politiche sociali “viaggio
accompagnato al paese d’origine per tutta la famiglia oppure centro
di accoglienza per la figlia minore” . Il tutto regolarmente
annotato dall’ufficiale giudiziario esecutore dello sfratto.