Non era questo esito che si aspettava, dopo un periodo di relativo benessere, il contratto d'affitto onorato dal 2002, con canone di 280 euro/mese più le spese condominiali, la richiesta di cittadinanza italiana già alla firma del Presidente della Repubblica, gli attestati di stima delle molte persone che ha conosciuto.
Apprende suo malgrado che arrampicandosi pericolosamente su piani in ferro da lui stesso montati, da lui stesso resi sicuri al passo, ha solo contribuito a far salire il valore di mercato di alcuni immobili, ha soddisfatto la sete di rendita di quanti hanno accumulato fortune vendendo case e alloggi. Che abbia garantito così anche il benessere di moglie e figli, che i figli nati qui saranno la prossima generazione di cittadini italiani, sono tutte circostanze accidentali, che non interessano nessuno.
Prova a cavarsela da solo senza protestare alcun diritto. Qualche lavoro in nero se lo procura o gli viene offerto, i lavori manuali non lo spaventano, sa fare il muratore e il contadino. Trova la solidarietà di parenti ed amici, le buone relazioni per tutelare la coesione della sua famiglia per adesso non gli sono mancate. Gli torna utile anche la filantropia dei Servizi Sociali, l'autobus e la mensa per i figli che vanno a scuola sono “a gratis”. Insomma, il pane quotidiano non gli manca ma non riesce a pagare l'affitto.
Allo sportello della nostra associazione lo aiutiamo a comporre la domanda per l'accesso al bando ATC. Certifichiamo che il requisito della cittadinanza, impropriamente declinato dalla legge regionale in tre anni di residenza e lavoro regolarmente retribuito, gli manca, che detto requisito contrasta con leggi nazionali e europee, chiediamo che la domanda pervenga alla commissione e sia valutata in quella sede, in modo che della eventuale, assai probabile, esclusione dal bando resti una traccia. Che l'ingiustizia sia almeno annotata, nero su bianco.
Componiamo l'istruttoria del suo caso, andiamo a trovarlo a casa per conoscerlo meglio. Il figlio maggiore è a scuola, il più piccolo è elettrizzato dalla nostra presenza, sfugge al controllo della madre, sale su un comodino della camera da letto, cade, strilli a non finire, accorriamo tutti. In braccio alla madre è presto consolato, noi siano un po' in imbarazzo ma poi accettiamo un caffè e ci sentiamo più liberi di guardarci attorno.
Un arredo essenziale, nessuna traccia di consumi superflui, confezioni di cibo e bevande acquistate ai discount, la televisione c'è ed è accesa su una emittente araba, un appartamento che definiremmo spoglio ma che loro riempiono con l'urgenza di sottrarsi alla minaccia dello sfratto, con la fiducia che ci accordano, con le risposte alla nostra curiosità di saperne di più della loro vita qui e in Egitto, con le esitazioni di una conversazione condotta in una lingua che appena conoscono.
Mandiamo in assessorato la nostra istruttoria con la richiesta di un incontro. Il nostro amico egiziano ci va accompagnato da Nadia, una interprete araba. L'assessore ai Servizi Sociali gli propone una incivile alternativa: può tornarsene in Egitto con tutta la famiglia, il biglietto di sola andata pagato dall'amministrazione, e “tornare quando qui la crisi è passata”. Oppure, può rimanere tentando di cavarsela da solo, con la famiglia ospitata a spese dell'amministrazione in un centro di accoglienza, lui separato dalla famiglia in un dormitorio pubblico. Il nostro amico egiziano è sconcertato, l'interprete indignata.
Quando arriva il giorno dell'esecuzione ci troviamo tutti lì, sotto casa. I volontari dell'associazione con striscioni e cartelli, l'amministratore, gli avvocati, amici e parenti degli inquilini, donne a bambini. Sorpresa, apprendiamo che un'altra famiglia, che alloggia nello stesso stabile sta subendo uno sfratto esecutivo. Si uniscono a noi, padre e madre di due bambini. I due alloggi sono di un unico proprietario e quest'ultimo è disposto a concedere un rinvio ma vuole un indennizzo. Anche gli avvocati della proprietà, che stimano quegli inquilini, non sono favorevoli ad uno sgombero forzato. I funzionari dell'assessorato cambiano idea e giudicano il rinvio degli sfratti molto meno oneroso della ospitalità per due famiglie. Quando arriva l'ufficiale giudiziario il rinvio al'8 di settembre è già stato concordato per telefono, l'assessorato ha indennizzato il proprietario con mille euro per famiglia.
Ma a settembre cosa accadrà ? Ce lo chiediamo tutti mentre il rito si compie, il verbale viene completato, gli interessati mettono le firme. L'ufficiale giudiziario ammonisce, perentorio: “Non vi mando altri avvisi, alla scadenza arrivo con il falegname e la forza pubblica”. I capi famiglia sono invitati a presentarsi subito in assessorato. Ci assegnano una casa ? Li invitiamo a non essere così ottimisti. Ci diranno di aver ricevuto solo degli ammonimenti. “Cercatevi un lavoro, l'unico modo di avere una casa è di trovarla sul mercato libero dei canoni, noi vi garantiamo l'avvio alla locazione, case popolari non ce ne sono”. Ormai è un ritornello che conosciamo.
Qualche giorno dopo, l'associazione presiede una riunione di altri invisibili, i piccoli raccoglitori di ferro. La riunione è finita. “Bisogna pur campare” è la conclusione di una lunga discussione. Leggi complicatissime e severissime, scritte per tutelare l'ambiente ma anche per togliere tutti “i piccoli” dal mercato dei rottami ferrosi.
Può accadere che uno di loro, padre di famiglia con due minori, dopo aver subito uno sfratto sia ospite in casa di conoscenti. Nello stesso alloggio di due camere e servizi domiciliano due nuclei familiari, quattro adulti e cinque minori, questi ultimi non ancora in età scolare. Per la notte montano le brande in cucina. In queste condizioni anche l'amicizia più solida è messa a dura prova. A luglio se ne deve andare, questi sono i patti.
Non sa dove potrà andare. Ci ricorda di essere già stato all'associazione. Non ce lo siamo dimenticato, ripercorriamo insieme le tappe di un percorso già fatto. L'istruttoria inviata all'assessorato, la richiesta di un incontro, l'incontro avvenuto e concluso con la stessa proposta fatta al nostro amico egiziano, stesso rispetto per i legami familiari, stessi ammonimenti. Ci fa l'ipotesi di occupare un alloggio di erp, si aspetta una conferma da parte nostra.
Se lui lo decide lo sosteniamo ma gli precisiamo che sono gli alloggi di proprietà delle immobiliari che dovrebbero essere occupati, ce ne sono migliaia in città, vuoti. Gli spieghiamo qual'è il contesto sociale del suo problema e la necessità di riappropriarci del maltolto. La disponibilità di alloggi popolari è minima rispetto ad una domanda sempre maggiore, un divario incolmabile. Gli ricordiamo le tappe legislative dell'azzeramento di una politica della casa popolare, l'abolizione della gescal, seguita dall'abolizione dell'equo canone, infine la privatizzazione del patrimonio abitativo degli enti pubblici. La scelta, rivelatasi fallimentare di consegnare al mercato il bisogno abitativo.
La pedagogia dell'associazione lo riduce al silenzio ma il rovello è sempre lo stesso, a luglio non saprà dove andare. Gli proponiamo di partecipare alla riunione con gli inquilini degli “alloggi parcheggio” che abbiamo già convocato. Gli spieghiamo che quelle assegnazioni non hanno alcuna trasparenza, sono fatte, rinnovate o chiuse in discrezione quasi assoluta. In questo modo, senza mettere nero su bianco e senza la bussola delle condizioni sociali degli inquilini, si tradisce lo spirito solidaristico e di tutela sociale della legge, si accresce il danno sociale di situazioni familiari già precarie. Alla riunione non l'abbiamo visto.
Bisogna evitare il conflitto tra poveri. E' il nostro ritornello. Le azioni utili sono quelle che uniscono in una richiesta pubblica tutte le persone con lo stesso problema. Quando il problema è sociale ci vuole una soluzione per tutti. Insistiamo. Se il problema tocca i bisogni primari delle persone, e il bisogno di abitare è uno dei quelli, la risposta non può essere il clientelismo e nemmeno la filantropia, che può valere solo per alcuni e che alla lunga deresponsabilizza e nasconde la natura sociale del problema. Hanno aperto il bando atc senza avere nel biennio la disponibilità di alloggi di nuova costruzione. Abbiamo il sospetto che vogliano liberare gli “alloggi parcheggio” per far funzionare in qualche modo la nuova, affollatissima, graduatoria, o peggio, per avvicendare in quegli alloggi le famiglie in emergenza abitativa, a prescindere dalle loro condizioni sociali.
Ci sta a sentire, ci dice che abbiamo ragione ma insiste, lui deve trovare una soluzione per il prossimo mese. Aggiunge a questa sua urgenza il racconto di quel che ha fatto. Si è rivolto a suoi amici nelle istituzioni, ne fa i nomi, stranoti, aspetta da loro una risposta. Pensa che il loro interessamento possa mutare l'atteggiamento dell'assessorato e che una casa popolare alla fine possa saltar fuori. Lo stiamo ad ascoltare. Ci comunica infine in modo perentorio, una sua convinzione. “La casa la danno agli stranieri, nel quartiere dei tetti blu sono quasi tutti di loro, non è giusto”.
A questo punto siamo estenuati e azzittiti, ci rimane solo il corso dei nostri pensieri. Il problema della casa colpisce lui, in tutta la sua urgenza e drammaticità ma la solitudine colpisce noi e indirettamente tutte le persone che dovranno arrangiarsi da sole per risolvere il loro problema abitativo, che dovranno subire in silenzio coabitazioni, sovraffollamenti, domicili di fortuna e sfratti.
Perché i nostri argomenti restano senza eco ? Perché il senso di giustizia che ci accomuna a questo padre di famiglia, che ci fa simpatizzare, noi e lui, è accompagnato da una radicale diversità di vedute e di consapevolezza ? Una risposta ce l'abbiamo. La generale complicità all'idea che il mercato possa dare risposta a tutti i problemi. Enti, istituzioni, tutti con questa fissa, sono loro tra i principali responsabili di questa dissonanza tra aspettative e realtà vissuta, di questi comportamenti che sono l'antitesi della solidarietà sociale. La guerra tra poveri è già in atto.